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I pensieri dell'Altrove

Apparire per esistere, ma chi siamo veramente?

Apparire per esistere, ma chi siamo veramente?

Ognuno di noi tenta di farsi capire dal mondo. Di farsi conoscere, o riconoscere. Come cuccioli di una numerosa nidiata, ognuno cerca uno spazio, una dimensione, un carattere che obblighi la differenza a farsi avanti e a distinguerci. Molti hanno talento, lasciano segni immortali, come la pittura, la scrittura alta, le opere di ingegno. Sono i fratelli che entrano nella storia, nella macrostoria dell'umanità, ricordati in modalità perpetua. Ci sono altri che si fanno apprezzare in contesti più ridotti, non perché valgano meno, piuttosto perché la modernità  affollata di idee e la diffusione veloce dei mezzi di comunicazione riducono sensibilmente la potenza di una intelligenza vivace e creativa. Ma quella che sicuramente è una osservazione condivisa, è il bisogno, ai giorni nostri, di sganciarsi da una anonima esistenza e di spiccare il volo verso il protagonismo. Anche senza qualità particolari, anche senza un back ground culturale di spessore, anche senza doti fulminanti. Il senso della visibilità è per molti diventata un'occasione imperdibile, la possibilità di guardarsi come in uno specchio attraverso gli altri è un ritorno di gratificazione e di effimera fama. La televisione, i social network, la rete, i telefonini, tutto concorre ad una esposizione del "se". Io appaio, quindi esisto. E siamo in tanti a farci rumorosa compagnia. È come se volessimo condividere le nostre frustrazioni, un attimo prima ci sono delle foto, un attimo dopo raccontiamo le nostre umanissime paure insieme ad una imprecazione. Lasciare tutta la nostra vita chiusa in un cassettone segreto è  cosa che si applica poco, è atteggiamento che sa di antico. Penso che la nostra moderna fragilità ci porti a voler trovare qualunque escamotage pur di non sentirci troppo soli. La solitudine spaventa assai, rende deboli e contestualmente fortifica la richiesta di risorse. E che le attenzioni arrivino in fretta, in questi nostri tempi non abbiamo mai tempo, tempo per noi, per i nostri dolori, per le nostre emozioni. Che tutto si risolva, che tutto ritorni sotto controllo, che tutto si dimentichi. Il fast food delle ansie. Che se le possiamo spalmare in una sorta di community accogliente (e forse un po' distratta) ci dà la sensazione di essere in cura non da un medico ma dall'intera umanità. Siamo quelli che sono andati sulla luna, che stanno esplorando lo spazio, che stanno studiando come vincere le malattie, che fanno della tecnologia un linguaggio  che diventa sempre più globale, ma alla fine siamo quelli alla ricerca primordiale  della  fortuna e della felicità. Che poi, quando arriva, manco ce ne accorgiamo, perché solo quando ci ha lasciati scopriamo che l'abbiamo incrociata, e non ci ha dato neanche il tempo di fare un urlo selvatico, un salto nel cielo, un comunicato a mezzo stampa o vocale. Siamo uomini della comunicazione, della visibilità, della esposizione, dello  sfrenato individualismo, ma c'è un elemento che ci riporta all' "essere": il battito del cuore. Che ci rammenta l'appartenenza, anche e meno male, ai sentimenti. Universali e così uguali per ognuno da farci sentire figli di una stessa madre. Pur sgomitando per essere diversi e lottando  per la affermazione della propria identità. Questo battito che ci incolla ai pensieri, ai trucchi dell'allegria o allo stridore bruciante delle disperazioni più comuni. Che ci fa incantare come bambini stupiti sotto una grande luna, che ci fa scrivere le poesie, che ci fa raccontare le favole e ci fa perdonare, che senza avere voce ci fa cantare, che nel silenzio confuso delle nostre vite ci fa compagnia. E che, nel disorientamento che ci procura il mondo, è l'unica cosa di noi che ancora ci fa capire di essere vivi, con le mani che cercano strade e la testa che si affaccia sui vuoti pericolosi. I battiti, l'elegante potenza dei respiri del cuore, l'instancabile onda che ci porta sulle spiagge, il termometro sofisticato e capriccioso delle passioni. Oltre ai pensieri, i compagni più intimi e misteriosi che ci portiamo con noi, fino alla fine di noi.

 

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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