IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
03.02.2019 - 11:14
Opera di Angelo Bellobono (piziarte.net)
Esercizio difficile parlare del Male. Uno dei rischi maggiori è quello di esprimere delle umane banalità, seppure sincere, l’altro di scivolare sui vari piani di espressione, da quello di natura fisica e psicologica fino ad arrivare a riflessioni di carattere etico e teologico, ma sempre con il limite della scarsa conoscenza oggettiva dei casi e dei fatti. Il Male, nella sua entità più crudele, non è quasi mai comprensibile. Per educazione e per impostazioni culturali ci fa paura e ci fa prendere distanze cautelative, eppure è un evento o una serie di eventi con cui ci scontriamo molto frequentemente e in cui alleniamo, in riferimento al livello di gravità, la nostra sopportazione, il nostro atteggiamento inconscio, la nostra misericordia ed il nostro giudizio. Come si possa inquadrare la violenza e la crudeltà in senso largo sugli uomini o peggio ancora la perversione impietosa sui bambini, come si possano giustificare la sopraffazione su esseri deboli o la quotidiana ferocia sulle donne, sono argomenti che alla base di una sana posizione dialogica presentano solo una reazione di sgomento e raccapriccio. Quindi la fatica di essere freddi portatori di considerazioni razionali non è trascurabile, soprattutto se ci fermiamo a fatti di cronaca recenti e orribili perché, fortunatamente, il coinvolgimento emotivo ed il suo valore ancora non si possono anestetizzare. Il Male colleziona una vastissima esposizione di episodi e di dinamiche, e mentre pensi che probabilmente per il Bene esista un limite dettato anche dal pudore di sembrare per qualche verso esagerato, per il Male non ci sono censure, non conosce il pudore, non comprende la capacità di sapersi fermare. Va, in un buco lungo di oscure sollecitazioni, verso un tempo sconnesso dalla coscienza strutturata e consapevole del danno, si incunea nella sospensione del pensiero della colpa o del giudizio, annulla il significato del dolore e del dispiacere. Chi compie il Male rompe il patto primario dell’obbligo al rispetto dell’umanità in genere e della civiltà, uccide in un gesto tutte le regole sacre che fanno dei nostri comportamenti le conseguenze di principi che servono ad educarci, curarci, conoscerci. Io, per esempio, non sono in grado di comprendere cosa possa armare la mano di un uomo (sic) e usarla per ammazzare un bambino a colpi di bastone, non ce la faccio. Mi sovrasta la pena, la rabbia, l’orrore. Mi schiaccia il vuoto dell’incommentabile. In questo caso come in moltissimi altri mi assale un senso quasi fisico di disperazione anche se, molto crudemente, so che accadrà ancora, in altre forme o con altre dinamiche, ma accadrà. Il Male è intorno, dentro, il Male c’è. E a volte nella sua rappresentazione più acuta può diventare addirittura stupido. Come andare a cercare in una farmacia una pomata, una semplice ma miracolosa pomata in grado di guarire dal grande Male tutto il massacro impresso sulla testina di un piccolo che si chiamava Giuseppe. La pomata, simbolo estremo di un recupero, usata senza alcun beneficio come una copertura, un telo che possa nascondere o mistificare. Come una bara oleosa per affossare per sempre negli occhi il ricordo, i lividi e l’oscenità del delitto.
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