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I pensieri dell'Altrove

La lavastoviglie delle feste

Le feste impongono percorsi  impervi da attraversare e mappe colme di incompiutezze da curare, l’ordinario presto rimetterà ogni vuoto al suo posto.

La lavastoviglie delle feste

Eric Serafini "Senza titolo" 2003 (galleria piziarte.net)

Il ronzio dolce della lavastoviglie in funzione ha l’espressione educata della efficiente collaborazione domestica. Trasmette quella quota di rassicurante sensazione che fa pensare a qualcosa che sta lavorando per te e tu devi solo aspettare che si concluda il programma. Fa bene, in questi che sono i giorni mitici dei servizi di piatti da dodici ed i multipli di dodici, delle insalatiere, zuppiere, legumiere, alzatine e sottobicchieri per bicchieri importanti rispolverati con cautela per gli auguri, ma che spesso rivelano una inconscia e autolesionista inclinazione alla scheggiatura vendicativa. Ho visto qualche flûte che, depresso assai dopo una selvaggia e prolungata ebbrezza alcolica, si è lasciato cadere nel vuoto piuttosto che sentirsi utile solo una volta all’anno e solo per richieste umane biecamente egoistiche tipo la salute, il lavoro, la prosperità, il successo, la gioia. La gioia. Uno stato simile ad una frenesia scomposta con un indice elevato di misteriose potenzialità pericolose, una complicata gestione delle emozioni in libera uscita ed il successivo contenimento delle stesse dopo il giro trasgressivo fuori dalla tana buia. È una cosa strana: aspettiamo la festa perché siamo legati alle aspettative innocenti di sospensioni a vario titolo di problemi, pensieri, impegni; quando arriva siamo però sempre abbastanza spaventati, un po’ perché sembra che qualcuno ci ricordi che non ce la meritiamo fino in fondo, un po’ perché l’inadeguatezza e la fatica a mantenere la leggerezza per un tempo più lungo di un abbraccio sono situazioni che probabilmente ci rassomigliano e ci pigliano di più. L’eloquio potente della festa produce ad un certo punto la stanchezza, verosimilmente una necessaria dose di finzione e sicuramente fissa un appuntamento immancabile con la tristezza. Che non è una malattia, è una condizione. Senti sulla nuca il bagaglio delle parole che mancano, il richiamo dei nomi che non si pronunciano, la spina nel cuore delle incomprensioni. Scivola dolente nel sangue la frustrazione dei dispiaceri e arriva densa fin lassù, fra i pensieri lucidi. La testa non sempre mostra accoglienza ad una intermedia intimità felice, è più addestrata al tema della ragione che a quello del sentimento. Nei giorni della festa si ribella e tira calci a tradimento sotto al tavolo apparecchiato con la tovaglia rossa, il centrotavola con le bacche, le candele oro, i piatti con il giro d’argento sul bordo, le posate pesanti che solo a vederle sono una intimidazione esplicita e gli angioletti usati come segnaposto e segno di pace verso i commensali. Le feste impongono percorsi  impervi da attraversare e mappe colme di incompiutezze da curare, l’ordinario presto rimetterà ogni vuoto al suo posto. La lavastoviglie ha terminato il ciclo di lavaggio, fra qualche ora altro giro altra corsa. Poi finirà. Perché si sa che le cose cambiano ma, alla fine, non cambiano mai. Forse cambiamo noi ma, anche qui, da un certo punto in poi forse anche noi non cambieremo più.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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