IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
29.04.2018 - 10:02
"Quell'unica ala", Tiziana Viola Massa (Galleria piziarte.net)
Giornate appese ai bordi imperfetti della stanchezza, simili a stracci arresi all'usura, senza più colori né fibra che sostiene. Giorni con le ore lunghe come il confine del mare, senza però avere la quiete che dà quel mezzo giro di orizzonte azzurro. Arredati di cose incomplete ed incomprese, cose indefinite che fanno passeggiate strane intorno ai nostri monumenti personali, ingombranti e conosciuti e che, ormai, hanno fatto la muffa dentro la testa. La sensazione superficiale è che la ripetitività stabilizzi l'inquietudine, ma non la rende più amabile o meno mansueta, anzi può accadere che si ribelli e stravolga un sistema che pareva pacato. Così, lo sforzo di tenerla sotto controllo produce un lavoro mentale che porta dritto dritto nel chiasso della testa. Il silenzio, invece, è un amico stretto della stanchezza. C'è una relazione intima e salvifica, una ricchezza fatta di niente, se per niente intendiamo tutto quello di cui non si avvale il rumore, tutto quello che è il nostro archivio segreto, tutto quello che non si sente con la parola parlata ma vive nei segni scavati dalle vene più sottili, il niente che stagiona nei luoghi più nascosti della nostra persona. Le giornate succhiate dalla stanchezza hanno un suono selvatico, come il verso di una bestia che nella sua libertà inconsapevole avverte di sera la paura e guarda dritto negli occhi la fame ingorda della solitudine. E la solitudine non arretra mai, il suo respiro ammassa la materia, come nei buchi neri la stanchezza collassa e diventa buio colloso che ci si porta dietro. Nei giorni delle stanchezze sentiamo le spalle che franano, come la terra che ci tiene in piedi, come i muri che devono difenderci, come gli occhi che non vogliono più vedere. Siamo la certezza della vulnerabilità e del bisogno umano della comprensione. Ed è forse per questo che i giorni imperfetti della stanchezza noi li capiamo, a volte li scordiamo, ma li capiamo. Ci servono, li riconosciamo, li accogliamo e poi li scartiamo. Passano attraverso un gesto, mille gesti, una sola parola pesante, la ripetitività delle frustrazioni, le distanze delle incomprensioni, le attese inutili. I giorni imperfetti della stanchezza hanno cadute precipitose, le combinazioni fortunate sono frammentarie, la voglia di fuga non trova energie per concretizzarla, le perturbazioni ci mettono in disordine l'anima. Guardarsi dritto negli occhi, abbracciarsi stretti un pensiero frivolo, sentire ii dispiacere come un'infiammazione non letale che si può curare, può ridare al giorno stanco quella quota di partecipazione attiva, quel senso di imperfezione accettabile e simile a noi stessi. Poi, per tutto il resto, ci penserà la vita.
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