IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
08.04.2018 - 11:33
Il calcolo di circa 5 mm è posizionato nel “calice inferiore di sinistra”. So da tempo che sta lì, non mi ha mai dato particolari fastidi e, per un calcolo (bisticci di parole) di probabilità, non avrei mai pensato che invece si scatenasse una colica renale violentissima mezz’ora prima del funerale di mio padre. L’ho trovata una cosa ingiusta, una brutta notizia che si andava a sistemare inopportunamente in una notizia ancora più infelice, una situazione di dolore totalizzante che mi è sembrata una penitenza immeritata. Ho tenuto le mani strette, le dita piegate in un pugno di rabbia e di fatica, di stanchezza fisica e di sgomento. Ho pensato che non riuscivo a stare in piedi, che non potevo esserci, al funerale. E così mi sono detta che a mio padre, in quel letto di ospedale, io comunque gli avevo detto tutto. Ci eravamo guardati silenziosamente per ore e ogni secondo era stata una parola compiuta, un ricordo condiviso col cuore, una conferma di noi. Mi sono detta che eravamo lontani dagli altri e dal mondo, mentre le forze gli venivano meno e il respiro si accorciava, mentre diminuiva la lucidità e aumentava la sospensione. Sono momenti strani, sono impregnati di un humus denso di paura, di un avvertimento reale di imminente, mortifero distacco, di senso di impotenza lacerante, di una forma di compassione così intensa e profonda da sembrare una bolla liquida che ti attorciglia l’anima. Ci eravamo detto tutto, e tutto sembrava deposto nella mano pallida che teneva la mia, i segreti della vita, le cose passate, il presente cortissimo, il futuro in una nuova dimensione uguale all’inesistente. E senza neppure essercene accorti, ma con dolente consapevolezza intima, ci siamo salutati. Ti ho salutato. Sono stata tua figlia fin quando hai respirato, fin quando ho fatto quello che sono riuscita a fare, con i miei limiti e le mie insicurezze. Al tuo funerale io voglio esserci, il calcolo si sta frantumando o spostando, non lo so. Le ondate di dolore sono cadenzate, come quando in un parto arrivano le doglie, le onde vanno su e giù, danno respiro e poi te lo rubano. Ma questo è un addio, non è un inizio, e chissà, forse qualcosa che io non conosco avrà un suo sottile significato e poi, magari, io lo capirò. Ora tu andrai in un nuovo luogo, le mie mattine avranno gesti diversi e pensieri cambiati. La mia macchina dovrà imparare a fare tragitti più vuoti. La tua casa avrà la luce spenta. Non ti dovrò togliere dalle mani, come ad un bambino, gli arnesi pericolosi. Non farò più finta di non vedere la Coca-Cola che per te era vietatissima. Non vedrò più sul telefono la scritta “casa papà”. Non dovrò più farti aggiustare gli orologi che smontavi e poi dicevi che, chissà perché, non funzionavano, non mi procurerò più agende di ogni formato, non devo più darti forniture esagerate di penne, post-it colorati, fogli, giornali... Io continuerò a camminare. Tu, proprio come in questo scatto di tanto tempo fa, se puoi, continua sorridente a guardarmi la strada. Buon viaggio, padre mio.
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