IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
11.02.2018 - 11:37
Non fingo di non capirlo, non sarebbe plausibile, non sarebbe vero. Fra il non accorgersi che si sta crescendo e il prendere atto che si sta invecchiando, è un attimo. Il tempo arriva, ci butta addosso i fatti, passa sgarbatamente nelle notti e ci lascia tutti i segni, chiari e visibili. Passiamo la vita a camminare ansiosamente e ad un certo punto si manifesta l’idea che oltre l’impennata sanguigna della giovinezza, la consapevolezza della maturità, arriva, come nei migliori grafici, anche la parabola. A me comincia a pesare qualche irriverente cedimento del corpo, le mancanze mai compensate, le fatiche emotive e le frustrazioni quasi permanenti. Comincio ad abitare stanze meno luminose di forze e di entusiasmi, le rivoluzioni interiori si sono convertite in epigrafiche citazioni, i progetti ad alto investimento vanno a sbattere contro dei dissuasori dotati di generoso cinismo, la facilità d'accesso all'esuberanza ha adottato degli ammortizzatori potenti. La pervasività degli anni modifica la struttura del nostro carattere, in alcuni casi lo peggiora. Ma i cambiamenti, sin dall’inizio, sono umanamente necessari, sono la prova del processo di formazione, speriamo maturazione, di ogni individuo responsabile; i cambiamenti denotano l'attenzione che la nostra persona deve applicare ogni volta che ci si mette in relazione con gli altri per non ferire, per non colpire, per non mutilare inutilmente. Le ragioni per le quali conviene capire che sarebbe cosa buona invecchiare in modo serenamente consapevole sono varie, intanto perché credo si possa fare una più indulgente compagnia a noi se stessi e al nostro tempo, poi perché la recriminazione costante e avvitante che gli anni belli ci hanno abbandonato può portare al rosicamento cronico che consuma la testa, infine perché dell’acuta nostalgia costante, dicono, ci si può ammalare persino di severa solitudine. Io non so quanto o quando sono cambiata, in fondo in fondo credo di essere rimasta io con le mie emotività esposte, le numerose inquietudini, le irriducibili domande. Penso però di aver capito chiaramente che prima queste cose non le sapevo dire, forse le manifestavo, ora finalmente me le so spiegare. I cambiamenti sono i venti che ci attraversano, i distacchi che spezzano le braccia, le delusioni che si annidano nello stomaco. È il dolore, che una volta individuata una crepa, se ne appropria e ci fa la casa. Ma di questa casa non sa prendersene cura, lascia che i lembi restino sempre umidi e slabbrati, scollati e disuniti cosi da renderli permeabili a nuove infiltrazioni e vulnerabili a recidive infezioni. Il tempo, probabilmente uno dei pochi elementi che non ci abbandona mai, è la sistemazione logica per le nostre esperienze, è quell'immagine lontana di te che prima guardi distrattamente con un pizzico di maldestro compiacimento, successivamente non guardi più perché l'incontro può restituire uno squarcio di una persona che, ora, fai fatica a collegare al tuo io. Uno scollamento personale, una controversia conflittuale, uno sdoppiamento divisivo. Ma non si discute, con il tempo. Lo si accoglie umanamente in una dimensione laica e razionale o in quella che si chiama cristiana rassegnazione. E lo si fa parte di sè. Confidando ingenuamente in un risparmio clemente di accidenti e di brutte cose. Non fingo di non capirlo, dopo un nuovo compleanno non sarebbe neppure troppo giustificato. E allora meglio dirlo: sto invecchiando. E, coerentemente, lo so.
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