IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
20.11.2016 - 13:16
Sta lì, in verticale o in orizzontale non lo so. In una specie di bidone grande sigillato, di acciaio, insomma come in una bara post moderna ma senza quel legno intorno che ricorda i cimiteri degli umani. È a centotrenta o centonovanta gradi sotto lo zero, anche questo non è ben precisato, ma in verità è un dettaglio di temperatura che non fa la differenza. La immagino bella, pallida, bambina. Come può esserlo una quattordicenne malata di un cancro raro che ha chiesto, attraverso una lettera ad un giudice britannico, di essere ibernata. La immagino anche composta, magra, intatta. Come lo sarà, volendo, per altri duecento anni. Sembrerebbe fantascienza, o scienza distorta, o solo fantasia, ma la verità è che questa ragazza sfortunata ha un nome ed ha avuto una vita vera, una brutta storia corta e una malattia impietosa, ha avuto il dolore. Non è la Giulietta di Romeo, nè la principessa delle favole che poi si sveglierà con un bacio leggero del suo amore. Lei è davvero stata qui e poi, nell'incubo del suo male ha voluto, e ottenuto, l'audace illusione del risveglio bello dopo un sogno realisticamente brutto. Non mi riesce di dire molto su questa cosa, mi gela, come quel ghiaccio-nitrogeno-liquido che ora la avvolge per farla rimanere com'è. Starà lì, immobile e spettrale in attesa di quella rivoluzione scientifica che potrebbe renderla immortale, in attesa di una utopia, di una resurrezione laica e chimica. In attesa di un punto luce fuori da un buco nero che però, a pensarci, viene succhiato da un altro buco nero ancora più vorace e agghiacciante. Lei, schiacciata fra una morte certa, una morte apparente e una vita immaginata in un posto indefinito del tempo, così tanto impreciso da togliere il respiro, ha scelto il posto indefinito del tempo. Non mi voglio fare domande, perché una trascinerebbe dietro un'altra più difficile, non mi voglio perdere in quell'idea tormentata di come sarà, che so, fra un centinaio di anni se si dovesse rianimare. Chi si potrebbe trovare di fronte ai suoi occhi appena aperti e scongelati, che memoria di sé avrà conservato, chi avrà cura di lei, chi la prenderà fra le braccia, chi le parlerà per la prima volta, chi le darà dei vestiti, chi le dirà il suo nome e da quale luogo è arrivata, che emozioni avrà e che pensieri forti e strutturati dovranno sostenerla per non farla crollare e precipitatare in un nuovo terrifico incubo. Ma intanto lei è lì, in piedi o distesa non lo so, algida e innaturale, con i suoi capelli giovani e le sue mani tese (o congiunte?) verso un futuro remoto che mette i brividi, non di freddo ma di paura. I suoi quattordici anni sono diventati simili all'eternità. Oppure sono vicini ad una immortalità che a sua volta è parente stretta di una tragedia mortale. E non assomiglia per niente a quella delle principesse delle favole, invischiate in giri di romanticismi troppi antichi, di compromissioni sentimentali epiche e di sperperi di cuori sanguinanti. Perché qui invece il sangue si è gelato. Operazione avvenuta in quel margine di buio sottile che dura un attimo, quello che ci divide fra il respiro e l'essere, in quell'ultimo battito caldo che si scioglie nella coscienza. E ora, in questa strana storia, tutto questo patrimonio è stato dato in prestito, per tempi sconosciuti, ad una condizione sospesa e misteriosa che, senza troppe appendici scomode si fa chiamare tecnicamente una 'fredda' procedura di criogenesi. Quindi per il momento la vita e la morte, il sogno o un delirio, la resurrezione o un'esplosione di materia sono diventate solo un ingombrante e costoso materiale da laboratorio. Chissà se da lì, da quella liquida nebbia gelida, è riuscita a scappare l'anima. E chissà dove, insieme alla sua piccola, ora si stanno facendo un po' di misericordiosa compagnia.
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