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I pensieri dell'altrove

Dove, quando nasci, speri non sia femmina

Succede in India ma, a pensarci bene, sembriamo un po' tutte tante bambole spezzate in due perché poi tutto "il problema" lo è evidentemente solo dalla cintola in su. Il sotto ed il dentro, se possibile, valgono anche meno.

Dove, quando nasci, speri non sia femmina

In India, quando una donna è incinta e va a fare l'ecografia, ci mette una sostanziale variabile in più nel voler sapere se quello/a che ha nella pancia è un maschio o è una femmina. La variabile non sta nell'avere maggiore o minore batticuore, né in una dose esagerata di ansia perché tutto stia nei parametri ordinari e neppure nell'emozione incontrollata perché si intravede un abbozzo di 'saluto' con una manina, no, niente a che fare con i sentimenti, non c'è spazio e nemmeno tempo. C'è solo la decisione gelida e chirurgica che se è una femmina, semplicemente, si abortisce.
Il primo ministro indiano Narendra Modi ha lanciato recentemente un forte appello contro l'aborto selettivo, lo ha fatto con dolore, ed é stato un richiamo sostenuto anche da alcuni premi Nobel e da esponenti illuminati della società internazionale, ma di fatto oltre il sessantasette per cento delle donne indiane che hanno già una femmina partoriscono in una seconda o terza gestazione sicuramente un maschio, contraddicendo ogni calcolo matematico che vuole la percentuale al più ovvio cinquanta per cento. Ora, se dobbiamo ancora chiederci, nell'anno del Signore 2016, che peso specifico abbiamo in qualche parte del mondo, il valore è dato da questi numeri: circa dodici milioni di femmine che in trent'anni, secondo la rivista "Lancet", sono state abortite selettivamente. È un problema economico, sociale, politico. Le femmine hanno bisogno di una dote per potersi sposare e non ci sono soldi per poterla regalare, non tutte diventeranno indipendenti, ma soprattutto non potranno, come i maschi, provvedere economicamente al mantenimento e alla cura dell'anzianità dei propri genitori. Quindi tu, femmina indiana, passi una parte di vita in uno stato di subalternità, di discriminazione, di sudditanza psicologica, perché comunque hai avuto incautamente il privilegio di venire al mondo, poi ti sposi e quando tuo marito ti ingravida devi pregare tutti gli dei del cielo d'Oriente perché ascoltino il tuo dolore e la tua preghiera di avere dentro di te un maschio. Un maschio per evitarti la coercitiva scelta di regalare al nulla una femmina come te, col tuo destino disgraziato e con il tuo patrimonio miserabile di accettazione e di considerazione. Un maschio che potrà sopraffare altre femmine. Un maschio, potente garanzia di un successo antropologico. Pare però che il maschio, una volta cresciuto, per un prevedibile squilibrio numerico e demografico, cominci a stuprare le donne di quasi qualunque età perché non ne ha una sua, oppure, e questo mi pare molto più elegante, ha relazioni con donne-schiave costrette a servire più uomini, poiché vengono generosamente prestate da quelli che le hanno 'fortunatamente' sposate. E questo è quanto. Io non ho indignazione, nè senso di compassione, sarebbe troppo poco. Ho invece un acuto ed onesto sentimento di rigetto e di non appartenenza a questa frangia di mondo che non conosce l'umano e conseguenzialmente non riconosce come facente parte dell'umanità la specie femminile. Perché sappiatelo, o sappiamolo: noi siamo ancora, come accade in Cina e in altri luoghi di questo pianeta post moderno, soltanto un problema economico, un fastidioso problema culturale, un ingombrante problema sociale. A pensarci bene sembriamo tante bambole spezzate in due perché poi, tutto "il problema" lo è evidentemente solo dalla cintola in su. Il sotto ed il dentro, se possibile, valgono anche meno.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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