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I pensieri dell'Altrove

Quelle tette marmoree che turbano il dio denaro

La vergognosa genuflessione dell'Arte e della Storia italiana al passaggio del presidente iraniano Hassan Rohani

Quelle tette marmoree che turbano il dio denaro

La Venere capitolina (Ph. Afp)

In un primo momento ho pensato che fosse una di quelle tante cose che si buttano in rete tanto per imbarazzare, sorprendere o scioccare. La rete ingoia veloce, come in un mare profondo butta giù chissà dove ogni parola, poi te ne scordi di quello che hai letto, perché nel frattempo sono nate e stanno scorrendo altre mille parole. Ma la notizia ritornava, le agenzie erano quelle accreditate e poi le testate dei quotidiani più importanti la riprendevano con serietà. Così, mi è passato lo stupore e mi è arrivato lo sgomento. Ma come, davvero poteva essere accaduto che l'arte nelle sale capitoline era stata nascosta in enormi scatoloni bianchi perché l'ospite di turno, presidente iraniano, avrebbe avuto gravi scompensi etici se avesse poco poco intravisto, che so, una mezza tetta di marmo o un quarto di scultoreo gluteo freddo e innocuo? Quelle scatole, che come paraventi improvvisati riparavano gli scandalosi attributi, mi restituivano l'immagine di tanti burka fatti indossare a delle statue per rendere tutto più significativamente "morale ed adeguato". È stata veramente una esagerazione delle formalità da protocollo, una ostentazione di sensibilità stucchevole che nulla ha a che fare con l'ospitalità e l'accoglienza, fosse pure verso un capo di stato. Sono stata qualche anno fa a Casablanca e sono andata a vedere la moschea di Hassan. Una costruzione immensa, in uno spazio enorme che rende bene l'idea della maestosità e della devozione di un popolo fedele. La terza moschea al mondo per vastità di superficie. Per visitarla all'interno occorreva togliersi le scarpe, il pavimento era di marmo chiaro, scivoloso e vistosamente umido. Era agosto, c'erano quaranta gradi, i piedi del mondo erano tutti lì, su quel marmo bianco che fraternamente e appiccicosamente si mischiavano in un unico, ma eterogeneo senso di fluido caldo universale. Non ho visitato la moschea, per ragioni che non sto qui a spiegare non ho tolto i miei sandali e non ho partecipato al rito di quei piedi scalzi coraggiosi, consapevolmente compiaciuti di lasciare orme oleose su suoli sacri. Ma ho rispettato la regola, non l'ho modificata nè l'ho infranta, semplicemente mi sono privata di un bel vedere per non creare del disagio a me. Ma io non sono un capo di stato. Detto questo, ho grande considerazione per tutte le forme di religione pacifiche e le loro esplicazioni, ho avuto l'esempio di mia madre, anima pura e nuda, che pure dinanzi al dolore più innaturale per una mamma, non ha mai recriminato contro Dio, non ha mai bestemmiato, non lo ha mai tradito. Una sola volta, dinanzi ad uno dei tanti momenti crudeli di disperazione per la perdita, chiese al cielo con dolcezza struggente: perché? Ma non ci fu risposta. Ora, il rispetto per le religioni va quindi osservato, va praticato, va compreso, ma perché mi viene il perfido retro pensiero che tutta questa inverosimile coreografia ingessata non avrebbe avuto luogo se solo non ci fossero stati di mezzo oltre dieci miliardi di euro di commesse con il paese ospitante? (cioè noi). E, subito dopo, mi viene pure un'altra perfidia: non ci si genuflette mai di fronte ad un Dio che non sentiamo come il 'nostro' Dio, non lo riconosceremmo, ma di fronte ad un dio danaro qualunque, magari sì.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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