IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
04.05.2014 - 09:47
Non so dire se ho mai perdonato qualcuno, non so se qualcuno ha mai perdonato me. Ho ricevuto delle scuse, le ho chieste, le ho accettate, qualcuna l'ho ignorata. Ma il perdono, quello solenne ed ecumenico, quello che ha a che fare (anche) con delle forme di pentimento o espiazioni da peccati, praticarlo onestamente mi dà un po' di soggezione. Preferirei parlare di chiarimenti che potrebbero non avere alla fine la clausola relativa alla pace, potrei parlare di scontri verbali in difesa delle proprie posizioni al limite del doversi sputare in faccia; potrei però anche raccontare di rotture che si sono sanate con la generosità della comprensione, di crisi vorticose che si sono ricomposte con il dialogo spietato ma necessario, di un saggio ed evoluto ascolto che non addebita colpe ad ogni costo, che non vuole offrire troppa rabbia cattiva al tempo e non vuole sprecare neanche un pezzetto di cuore attratto soltanto dal rifiuto. Il peccato alla fine non è il non-perdono, semmai il non aver provato a spogliarsi di ogni elemento rancoroso e tentare di capire, di inumidirsi la ferita con le lacrime dell'altro/a, di organizzarsi non per 'finire', ma per provare a continuare. Il vero perdono, secondo me, non è la dimenticanza dell'offesa, né l'assoluzione, che danno solo i preti, è invece il rigore da applicare nel raccogliere tutti gli elementi e poi sentirsi liberi ad accettare le ragioni o le responsabilità di chi ci ha arrecato il danno, ma senza sanzioni o pretese di crediti che possono diventare degli antipatici vitalizi. Naturalmente sempre che l'altro sia abbastanza disponibile e adeguatamente ragionevole a spiegare con onestà intellettuale e sentimentale le sue tesi. Fondamentalmente non esiste una territorialità precisa che tracci confini rigidi fra il perdono e la matura comprensione, l'accettazione, la riconciliazione. Gli incidenti possono essere certamente più o meno gravi, possono arrecare ferite dolorose e durature, possono fare malissimo, e sicuramente quanto più è serio il dolore tanto più si fa ricorso al perdono perché le scuse potrebbero sembrare inappropriate e insufficienti, ma alla fine il risultato è il medesimo: ricompattare, se si può, un rapporto, una relazione, una comunicazione. Ed è significativo come, nel pensare a questo ultimo passaggio, mi venga in mente l'immagine calda di un abbraccio, che 'chiude' e circoscrive la deflagrazione avvenuta e sprigiona una esplosione di neutrini energicamente pacifici. E forse, fra un 'ti perdono' da elargizione liturgica e un più coraggiosamente umano "tengo a te, tu sei importante per me'', io vorrei sentirmi dire la seconda.
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