IL MATTINO
Forever
01.10.2017 - 09:01
C’è più dello zucchero e dell’indice glicemico tra i fattori di rischio per il diabete di tipo-2, detto anche diabete insulino-resistente. E’ solo il nostro “riduzionismo”, che semplifica ciò che è complesso, che salta alle conclusioni, tagliando via tutto ciò che appare complicato e difficile da indagare, a incolpare zuccheri e ricercare ossessivamente l'indice glicemico degli alimenti. Anche se, è bene dirlo, zuccheri e indice glicemico sono sul banco degli imputati, ma non sono i soli e, comunque fanno parte di una combriccola ben più pericolosa. Un riduzionismo che affligge anche la Scienza della Nutrizione, ancor più di altre discipline, poiché l’alimentazione non è “mangiare nutrienti”, bensì sminuzzare, masticare, insalivare, digerire e assorbire miscele complesse di sostanze delle quali spesso ignoriamo che cosa siano. Ed è un bene che ad aiutarci nella comprensione di questa materia complicata viene in soccorso la ricerca scientifica ed in particolare gli studi prospettici di coorte e quelli di metanalisi. Questi, come più volte sottolineato nel nostro blog, sono al vertice delle evidenze scientifiche e tra i più pregiati come studi. Dunque, alla luce di tale complessità, la nostra domanda di oggi sarà: qual è il regime alimentare (e non quali alimenti) protettivo nei confronti del diabete di tipo-2 e quale, invece, lo favorisce?
Prima di tuffarci negli studi per ricercare la risposta ai nostri interrogativi, credo sia necessario partire dai numeri davvero impressionanti del diabete tipo-2, una vera piaga sociale per le classi più svantaggiate ed i soggetti oltre i 65 anni di età.In Italia, le persone affette da diabete sono oltre 3 milioni 200 mila, secondo i dati Istat del 2016. In pratica, il diabete colpisce il 5,3% dell'intera popolazione (16,5% fra le persone con un’età superiore ai 65 anni) ed è una malattia fortemente associata allo svantaggio economico [1]. Anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, i malati di diabete nel nostro Paese sono raddoppiati negli ultimi trent’anni. Il diabete nei pazienti anziani è associato ad un aumentato rischio di mortalità, ad un ridotto stato funzionale ed un elevato rischio di istituzionalizzazione [2]. I pazienti diabetici anziani hanno anche i tassi più alti di complicazioni macro- e micro-vascolari, compreso l'infarto miocardico, le amputazioni alle estremità inferiori, le malattie renali e la perdita della vista [3]. Inoltre, sono a maggior rischio di complicazioni legate ai farmaci, in particolare l’ipoglicemia. Il ricorso alle cure del pronto soccorso da parte degli anziani diabetici è pari al doppio rispetto alla popolazione generale [2]. Sappiamo che il fattore chiave nello sviluppo del diabete di tipo-2 è la resistenza insulinica. E sappiamo anche che le scelte dietetiche sono associate a tale resistenza, soprattutto nell’attuale contesto sociale caratterizzato dall’invecchiamento della popolazione e dall’aumento della sedentarietà. Gli incrementi nel consumo di alimenti calorici, compresi quelli dei fast food, della carne e degli altri grassi animali, dei cereali altamente raffinati, delle bevande zuccherate, sono accusati di svolgere un ruolo fondamentale nell’aumento dei tassi di diabete di tipo-2 in tutto il mondo [4]. La buona notizia è che i cambiamenti negli stili di vita, in particolare della dieta, possono essere molto efficaci nel prevenire, trattare e persino far regredire il diabete di tipo-2 [5-8]. Tra il 20% dei partecipanti al Diabetes Prevention Program - con un’età media di oltre i 60 anni di età - i cambiamenti nello stile di vita hanno conferito una riduzione del 71% del rischio di diabete di tipo 2, dimostrando che gli adulti più anziani conseguivano il maggior beneficio dagli interventi basati sugli di stili di vita rispetto ad altri gruppi di età [5]. Le modifiche nello stile di vita affrontano alle radici le cause del diabete di tipo-2 e possono migliorare la comorbilità riducendo il rischio delle politerapie (assunzione di più farmaci nella stessa giornata), soprattutto negli anziani*.
Le Diete vegetali - vale a dire, i modelli alimentari che enfatizzano i legumi, i cereali integrali, le verdure, la frutta, le noci ed i semi, e scoraggiano la maggior parte, o tutti, i prodotti di origine animale - sono particolarmente potenti nel prevenire il diabete di tipo-2 e sono associati con tassi molto più bassi di obesità, ipertensione, iperlipidemia, mortalità cardiovascolare e cancro [9]. Le Diete a base vegetale nei grandi studi di coorte dimostrano, infatti, che la prevalenza e l'incidenza di diabete di tipo 2 è significativamente inferiore tra i soggetti che seguono modelli alimentari a base vegetale rispetto a quelli onnivori e anche semi-vegetariani. Quelli che seguono le diete a base vegetale tendono ad avere bassi indici di massa corporea, che proteggono contro il diabete di tipo-2 [10]. Lo studio Adventist Health Study-2 ha esaminato la prevalenza delle malattie in una coorte con diversi modelli alimentari. Tra i circa 61.000 individui, la prevalenza del diabete di tipo-2 è diminuito in modo graduale con la riduzione dei prodotti animali nella dieta. Il rischio di diabete-2 era: del 7,6% nel 2008 nei non-vegetariani, 6,1% nei semi-vegetariani, 4,8% a pesco - vegetariani, 3.2% negli ovo latto-vegetariani e del 2,9% nei vegani [10]. La protezione del modello dietetico vegano è rimasto anche dopo l'aggiustamento per l'indice di massa corporea e altre variabili, con i vegani che hanno la metà del tasso di tipo-2 diabete rispetto ai non vegetariani (OR**: 0,51; 95% CI: 0,40-0,66). I semi-vegetariani sperimentavano benefici intermedi (OR**: 0,76; 95% CI: 0,65-0,90). Vale la pena notare che i non vegani in questa coorte hanno mangiato carne rossa e pollame quasi raramente (una volta alla settimana o più per i non-vegetariani, meno che una volta alla settimana per semi-vegetariani), suggerendo che anche piccoli aumenti della carne rossa e del consumo di pollame possano aumentare in modo sproporzionato il rischio di diabete di tipo-2. Studi prospettici della stessa coorte avventista hanno avuto risultati simili. Tra i 41.387 individui che i ricercatori seguirono per due anni, l'analisi controllata della regressione logistica multipla per l'indice di massa corporea e altre variabili ha dimostrato che i vegani avevano un rischio drasticamente minore di sviluppare il tipo 2 diabete rispetto ai non vegetariani (OR**: 0,381, 95% CI: 0,236-0,617) [11]. In un altro studio sulla mortalità e la salute degli Avventisti che ha seguito 8401 soggetti a lungo termine (17 anni), l’aderenza ad una dieta che includeva almeno l'assunzione di carne settimanale è stata associata ad un aumento del 74% (OR**: 1,74; 95% CI: 1,36-2,22) in probabilità di sviluppare il diabete rispetto ad una adesione a lungo termine di una dieta vegetariana (zero assunzione di carne); questa associazione era attenuata, ma persisteva anche dopo l'aggiustamento statistico per il peso corporeo (OR**: 1,38; 95% CI: 1,06-1,68) [12]. In una coorte di 4384 buddisti taiwanesi, i maschi vegetariani avevano circa la metà del tasso di diabete (OR**: 0,49, 95% CI: 0,28-0,89), e le donne vegetariane in post-menopausa avevano un quarto del tasso di diabete (OR**: 0,25, 95% CI: 0,15-0,42), rispetto alle loro controparti onnivore, nonostante l'adeguamento statistico per l'indice di massa corporea e altri fattori. È interessante notare che gli onnivori in questo studio hanno consumato una dieta prevalentemente vegetale con poca carne o pesce. Ciò significa che anche piccole quantità di carne contribuiscono significativamente allo sviluppo della resistenza all'insulina [13]. Nel più grande studio prospettico sulle diete a base vegetale fino ad oggi eseguito, Satija, et al., hanno valutato le scelte alimentari e l'incidenza del diabete di tipo-2 nello Nurses’ Health Study, Nurses’ Health Study 2, e nel Health Professionals Follow-up Study [14]. I modelli alimentari erano stratificati da un complesso indice di dieta vegetale, in cui gli alimenti vegetali hanno ricevuto punteggi positivi, mentre gli alimenti animali (compresi i grassi animali, latticini, uova, pesce, frutti di mare, pollame e carne rossa) punteggi negativi. Nella versione "salutare" di questo indice vegetale, anche i succhi di frutta, i cereali raffinati e gli zuccheri avevano punteggi negativi. L'analisi dei dati di 4,1 milioni di persone-anni ha rilevato che quelli più aderenti all'indice alimentare salutare basato sui vegetali aveva un rischio inferiore del 34% di sviluppare il diabete rispetto a quelli meno aderenti. Queste associazioni erano indipendenti dall'indice di massa corporea e da altri fattori di rischio del diabete.
Gli alimenti vegetali integrali, non raffinati, i quali includono generalmente legumi, cereali integrali, frutta, verdura e noci, sono ricchi di fibre. Tutti questi alimenti sono stati trovati per essere protettivi contro il diabete. Ad esempio, i cereali integrali, tra cui il pane integrale, i cereali a chicco intero ed il riso integrale, sono stati associati con un rischio ridotto di sviluppare il diabete [15-16]; in una recente revisione sistematica e meta-analisi di 16 studi di coorte è stato trovato un rischio relativo di 0,68 (vale a dire una probabilità del 32% di non sviluppare diabete tipo-2) per tre porzioni giornaliere di cereali integrali [20]. Frutti specifici e verdure, comprese le verdure a radice, le verdure a foglia verde, i mirtilli, l’uva e le mele, sono stati associati ai tassi più bassi di diabete [17-18]. Anche i legumi migliorano la resistenza all'insulina e offrono una protezione contro la sindrome metabolica [19-22], e un maggiore consumo di noci è stato associato con rischio inferiore di diabete [4]. Le fibre dei cereali sembrano essere particolarmente protettive contro il diabete di tipo-2 [23-25]. Le diete basate su cibi vegetali interi non solo massimizzano gli alimenti protettivi, ma escludono anche i principali alimenti di origine animale che tendono a promuovere la resistenza all'insulina, in particolare quelli trasformati e non-trasformati a base di carne rossa [4,26-27]. Stime di rischio da recenti studi di meta-analisi sul consumo di carne e il rischio di diabete di tipo-2 va da 1,13 (+13%) a 1,19 (+19%) per 100 g di carne rossa totale al giorno e da 1,19 (+19%) a 1,51 (+51%) per 50 g di carni lavorate al giorno [28]. Le proteine animali ed i grassi animali sono stati associati al peggioramento della resistenza all'insulina e all’aumentata incidenza di diabete di tipo-2, sia in studi metabolici che in grandi studi di coorte [14,28-31]. Ad esempio, van Nielen et al., nella coorte di EPIC, hanno osservato dopo 12 anni un +22% nell’incidenza di diabete di tipo 2 nel quintile più alto rispetto al quintile più basso per il consumo di proteine animali, nonché un'incidenza superiore del 5% per incremento di 10 g di assunzione di proteine animali (modello multivariato- corretto, compreso l'indice di massa corporea) [29]. Allo stesso modo, durante 4.1 milioni di anni di follow-up dei partecipanti al Nurses’ Health Study, al Nurses’ Health Study II e al Health Professionals Follow-up Study, Malik et al., hanno trovato che gli individui nel più alto quintile di consumo di proteine animali avevano un rischio aumentato del 13% per il diabete di tipo-2 (95% CI: 6-21) rispetto a quelli del quintile più basso (modello multivariato-aggiustato compreso l’indice di massa corporea) [30]. Questi Autori hanno anche scoperto che sostituendo il 5% di assunzione di energia da proteine animali con proteine vegetali vi era un rischio ridotto del 23% del diabete di tipo-2 (95% CI: 16-30). In una popolazione geriatrica (dai 65 ai 100 anni anni) in Grecia, un aumento del 5% dell'assunzione di proteine dalla carne e dei prodotti a base di carne è stato associato ad una probabilità maggiore del 34% di sviluppare il diabete di tipo-2 anche dopo aggiustamenti per età, sesso, obesità, storia di ipertensione, iperlipidemia, e altre abitudini alimentari [32]. Al contrario, l'assunzione di proteine vegetali ha offerto una protezione contro il diabete.
Note
* “In Italia sono 1,3 milioni le persone che prendono 10 o addirittura più farmaci, l'11,3% della popolazione; ma se guardiamo alla fascia di età fra i 75 e gli 84 anni ci accorgiamo che le percentuali aumentano: il 55% degli anziani deve ricordarsi di prendere tra le 5 e le 9 compresse mentre il 14% supera questo limite.
Già, perché ormai gli esperti sono d'accordo sul fatto che un limite al numero di farmaci che una persona può prendere vada in qualche modo messo, altrimenti da salutari i medicinali diventano tossici. «Ogni persona va valutata per la sua storia e quindi non è possibile indicare un numero massimo di farmaci da prendere. Diciamo però che se si prendono più di 5 medicinali al giorno è lecito andare dal medico per chiedere se sono davvero tutti utili,» spiega Graziano Onder, geriatra dell'università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, che ha partecipato al tavolo di lavoro Aifa sulla qualità della prescrizione negli anziani che ha scattato la fotografia della situazione in Italia.” (Letizia Gabaglio. Troppe pillole nel cassetto degli over 65. Repubblica del 19/09/2017, www.repubblica.it)
** come abbiamo altre volte specificato, OR sta per odds ratio, ed esprime un rischio più basso se è inferiore a 1, un rischio se è superiore a 1.
A esempio, OR = 0,70 significa che si ha una protezione (o meglio un rischio inferiore) del 30% (1-0,6 = 0,4 = 40%); OR = 1,3 significa che si ha un rischio più elevato del 30% (1,3-1 = 0,3 = 30%)
Bibliografia
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