IL MATTINO
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07.09.2025 - 09:21
L'American College of Cardiology raccomanda fermamente una dieta a base vegetale, ricca di frutta, verdura, cereali integrali, legumi e frutta secca, in grado di ridurre significativamente il rischio cardiovascolare. Nonostante ciò, solo l'8% dei cardiologi intervistati ha dichiarato di seguire personalmente questo modello alimentare.
Stili di vita e prevenzione: il paradosso dei cardiologi
Le malattie cardiovascolari restano la principale causa di morte a livello globale. È ampiamente dimostrato che una dieta equilibrata, l'attività fisica regolare, la gestione dello stress, un sonno adeguato e l'astensione da tabacco e alcol sono i pilastri fondamentali della prevenzione. Tuttavia, tradurre queste raccomandazioni in pratica clinica, e specialmente nella vita personale dei medici, si rivela un'impresa tutt'altro che semplice. Un recente studio pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology ha esaminato proprio questo divario: in che misura i cardiologi statunitensi riescano a seguire personalmente gli stessi comportamenti che raccomandano ai loro pazienti. [1]
Il paradosso della dieta: tra ciò che si predica e ciò che si pratica
Il dato più sorprendente emerso dall'indagine riguarda le abitudini alimentari. L'American College of Cardiology raccomanda fermamente una dieta a base vegetale, ricca di frutta, verdura, cereali integrali, legumi e frutta secca, in grado di ridurre significativamente il rischio cardiovascolare. Nonostante ciò, solo l'8% dei cardiologi intervistati ha dichiarato di seguire personalmente questo modello alimentare. Allo stesso tempo, il 41% dei cardiologi afferma di raccomandarlo con frequenza ai propri pazienti. Questa contraddizione solleva un interrogativo cruciale: quanto influisce, sulla credibilità e sull'efficacia della comunicazione clinica, la coerenza tra i consigli dati e lo stile di vita personale? Tra le barriere più citate dagli intervistati figurano i dubbi sull'adeguatezza proteica, le difficoltà sociali e culturali e la scarsa adesione dei pazienti. Queste difficoltà riflettono, in realtà, le stesse sfide che i comuni cittadini si trovano ad affrontare.
Attività fisica: maggiore coerenza tra parole e comportamenti
Il quadro migliora notevolmente se si osserva l'ambito dell'attività fisica. Il 91% dei cardiologi ha dichiarato di includere regolarmente il counseling sull'esercizio fisico nella propria pratica clinica, in linea con le raccomandazioni dell'ACC/AHA del 2019, che suggeriscono almeno 150 minuti di attività moderata o 75 minuti di attività vigorosa a settimana. Sul piano personale, il 69% ha riferito di rispettare queste linee guida nella propria vita quotidiana. Questo è un segnale incoraggiante che dimostra come l'attività fisica sia percepita come parte integrante del benessere anche da chi si occupa professionalmente della salute del cuore altrui.
Sonno, stress e benessere: un equilibrio difficile da trovare
I risultati sono invece più contrastanti per quanto riguarda il sonno e la gestione dello stress. Il 71% dei cardiologi ha dichiarato di dormire tra le sei e le otto ore a notte, ma solo il 39% si è detto soddisfatto della qualità del proprio riposo. Anche sul fronte della gestione dello stress e del benessere sociale emergono fragilità, a indicare che l'impegno lavorativo e le pressioni emotive della professione possono rendere complicato mantenere un equilibrio salutare.
Formazione in medicina dello stile di vita: una lacuna da colmare
Un altro aspetto critico è la formazione: solo il 12% degli intervistati ha ricevuto un training formale in medicina dello stile di vita. Questo dato è in netto contrasto con le raccomandazioni delle linee guida ACC/AHA, che pongono la promozione di comportamenti salutari come fondamento della prevenzione. Senza una preparazione strutturata, il rischio è che il counseling ai pazienti rimanga affidato alla sensibilità individuale, anziché a un approccio sistematico e basato sulle evidenze scientifiche. Kim Allan Williams e i suoi colleghi concludono che il divario tra conoscenze e comportamenti personali può ridurre l'efficacia della consulenza clinica. I medici che faticano ad aderire alle raccomandazioni rischiano di proporre messaggi meno convincenti e meno praticabili. Colmare questa distanza, sottolineano gli autori, può non solo migliorare il benessere dei professionisti stessi, ma anche offrire un modello più credibile ai pazienti. È importante, tuttavia, ricordare che lo studio presenta alcuni limiti. I cardiologi che hanno risposto al sondaggio potrebbero essere più interessati alla medicina dello stile di vita rispetto alla media dei colleghi, generando un "bias di selezione". Inoltre, la tendenza a fornire risposte socialmente desiderabili potrebbe aver reso i risultati più ottimistici rispetto alla realtà.
Per un approccio più empatico e realistico
Questi risultati ci invitano a una riflessione più ampia: affidarsi a slogan semplicistici sulla prevenzione non è sufficiente. Servono empatia e pragmatismo. È necessario riconoscere che cambiare le abitudini richiede tempo, supporto sociale e strategie personalizzate. Le linee guida ACC/AHA ricordano che la prevenzione è più efficace quando tiene conto dei determinanti sociali della salute, delle condizioni di vita e delle difficoltà concrete delle persone. In altre parole, la sfida non è solo dire cosa fare, ma accompagnare pazienti e medici lungo il percorso del cambiamento. Un compito che richiede coerenza, formazione e la capacità di trasformare i principi della medicina dello stile di vita in pratiche quotidiane realmente sostenibili.
Bibliografia
1. Williams Sr, Kim Allan, et al. "Dietary and Lifestyle Habits of Cardiologists: Perception vs Practice." Journal of the American College of Cardiology 86.9 (2025): 673-675.
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