IL MATTINO
AntichiRitorni
13.12.2015 - 00:27
Zeus trasforma Licaone, incisione di H. Goltzius
Il protagonista di questa storia si chiama Licaone; costui pare fosse uomo empio e scellerato, al punto che le sue nefandezze attirarono l’ira di Zeus, che decise di punirlo scendendo personalmente sulla terra.
Il plenilunio assume valenze diverse (positive o negative che siano) a seconda delle culture; che sia, talora, paladina delle nascite, padrona dei raccolti e del vino buono, oppure pazza e capricciosa, capace di far riaffiorare gli istinti più bui, resta il fatto che la luna piena ha da sempre il suo fascino, che le deriva da simbolismi e credenze del mondo pagano.Tra le leggende più diffuse vi è quella della licantropia. Da dove ha origine il termine ‘licantropo’? Si tratta della fusione di due vocaboli greci: λύκος (lykos = lupo) e ἄνθρωπος (ánthropos = uomo), ovvero “uomo-lupo”; ma da dove nasce questa storia? E chi fu il primo uomo-lupo? Le radici di questa leggenda affondano, ancora una volta, nel mito e in particolare nel culto di Zeus Liceo (ossia Zeus-Lupo) praticato in Arcadia, una delle regioni più impervie e isolate della Grecia peloponnesiaca. Il protagonista di questa storia si chiama Licaone; costui pare fosse uomo empio e scellerato, al punto che le sue nefandezze attirarono l’ira di Zeus, che decise di punirlo scendendo personalmente sulla terra. Così il padre degli dèi si travestì da mortale e si recò presso la reggia del re d’Arcadia; qui Licaone – sentite le voci inerenti al fatto che lo straniero fosse il divino Zeus in persona – decise di ‘sfidare’ il dio, o meglio di ‘saggiarne’ la natura divina tramite una prova: offrire all’ospite carni umane appartenenti a un giovane fanciullo. In virtù di ciò, il re dell’Olimpo, adirato, bruciò e fece crollare la dimora; Licaone riuscì a fuggire ma, mentre si dava alla macchia, sentì che qualcosa stava cambiando: «Atterrito fugge e, raggiunta la campagna silenziosa, lancia ululati, tentando di parlare. Tutta la rabbia che ha in corpo converge nella bocca e, assetato come sempre di sangue, si rivolge contro le greggi e tuttora gode del sangue. Le vesti si trasformano in pelo, le braccia in zampe: diviene lupo, ma della forma antica serba tracce. Mantiene il grigiore dei peli, uguale la furia del volto, uguale il lampo degli occhi e l’espressione feroce» così riferisce il poeta latino Ovidio nelle sue “Metamorfosi”. Secondo alcune fonti questo mito serviva a spiegare un’altra leggenda, per cui in Arcadia i sacerdoti di Apollo Liceo immolavano vittime umane al dio, cosa che li faceva trasformare in lupi; se dopo otto anni non avevano toccato carne umana potevano tornare uomini. Se il mito di Licaone ha influenzato tutto il Medioevo e oltre, determinando il sorgere della credenza del “lupo-mannaro”, un altro autore antico, Galeno (artefice di un trattato sulla medicina), spiegava così, nel II sec. d.C., il fenomeno della ‘licantropia’, quale vera e propria ‘patologia’ da curare: «Coloro che vengono colti dal morbo chiamato lupino o canino, escono di casa di notte nel mese di febbraio e imitano in tutto i lupi o i cani; si possono riconoscere da questi sintomi. Sono pallidi e malaticci, hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non secernono saliva per nulla. Sono assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani. È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell'accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l'infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d'altra parte di bagni d'acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriaca estratta dalle vipere e le altre cose da applicare nella melanconia».
edizione digitale
Il Mattino di foggia