IL MATTINO
Storie&Geografie
29.11.2012 - 09:50
Don Michele De Paolis in una celebrazione eucaristica
Quando nelle notti di campagna un pastore raccoglie il suo gregge, quando un rumore che non conosce gli suona alle spalle, nel buio, sente la paura? Quella fretta invincibile di raggiungere un altro luogo, quale che sia ma non quello dove ti trovi, l’ansia ed il respiro corto che ti prende nel corridoio della tua casa di notte quando sei piccolo. Prova tutto questo? Ma se prova tutto questo, come possono le pecore stare tranquille?
Pensieri forse oziosi, ma che qui a Emmaus, anche durante la messa, vengono in mente. Don Michele ha una voce profonda. Pare non provenire dai suoi polmoni, ma direttamente da quelli di ciascuno dei presenti. Da bambino avevo il terrore di muovermi troppo in una chiesa. La liturgia era una catena stretta e ogni gesto fuori dal rito mi sembrava maledetto. Anche il segno di pace mi pareva falso, dato così per dare. Uno alla mia destra, uno alla mia sinistra. Non ti girare, non serve.
Ma qui pare che tutti si vogliano bene. Qui non è un dovere venire. C’è un tizio sul lato della stanza –perché siamo in una stanza, non in una chiesa– che è davvero messo male. È pieno di lividi, che si mischiano con alcuni tatuaggi malfatti. Si è fatto la peggiore galera. Sembra che sia stato attaccato con una corda ad un treno e che si sia fatto almeno quattro o cinque chilometri sulla pancia. Deve essere un ospite nuovo.
Posso permettermi il lusso di guardare intorno. La voce di Don Michele mi risuona nello stomaco. È lì che pianta semi immarcescibili. Non ordina di amare il mio prossimo: mi convince a farlo. A volerlo fare. Tutto è messo da parte: preti e ministri, chiese scure e colonne marce, sinodi diocesani e “otti per mille”, le pareti della stanza trasudano di amore puro. Il modo in cui il dio di Don Michele, con tutta la sua lettera minuscola, ci ama: in modo assurdo. Su una panca una donna ha la spalla su quella di un’amica. Ha gli occhi chiusi ma le sue labbra si muovono lentamente, impercettibili. Le suole incretate raccontano un’alba a riordinare la stalla, o il pollaio del centro. Le braccia non si vedono, è inverno. Ma i segni di quello che ha passato si riflettono sulla sua pelle macchiata. Non ho mai visto una tale serenità. Sofferenza mista a speranza. La certezza che il futuro, pure sudato, sarà meglio del presente. Il passato non c’èpiù. Dimenticato, sciolto dalla voce di Don Michele.
Ma l’ospite nuovo è scomparso. No, è finito dall’altra parte della stanza. Non me n’ero accorto. La mano sulla spalla di un vecchio. Altre voci si alternano. Rotte, incrinate, insicure, leggono i brani programmati. Non brutte: umane. Sono musica che commenta la Parola. Note fatte dello spirito di ognuno. L’armonia è completata dall’omelia. Ascolto le sue parole e penso: perché l’ho conosciuto solo ora, che ha più di novant’anni, che ci elargisce il suo addio ogni volta che può? Ho sempre la valigia pronta ormai –dice– ogni giorno. Ma oggi è ancora qui e ci insegna ad amare.
Sale il Credo della Speranza. Mai ho letto una preghiera così bella. Merita le mie lacrime. Le pretende, per lavarmi l’anima, per convincermi a non sporcarla più. Ma dov’è adesso l’ospite nuovo? Come fa a stare ancora da un’altra parte? La stanza è piccola e piena. Arriva la comunione. Succede qualcosa. L'ospite nuovo … mi sembra di vederlo, per un solo attimo, dietro Don Michele. Troppa confidenza, anche per Emmaus, ma è solo un impressione, come un lampo colto con la coda dell’occhio. Pareva illuminarsi un attimo. Eppure è sparito. Come ha fatto a uscire se io sono vicino all’unica porta?
Finalmente comprendo. So chi era. E mi pare anche normale: l’unica cosa vera del mio vetusto catechismo, anche se non ha la tunica e la barba bionda, non è bellissimo, e somiglia al più sfortunato tra noi. Lo troverò in futuro, anche senza vederlo veramente, sul sedile della mia auto, o in sere di quieta disperazione, dove già è stato al mio fianco per tirarmi dalle suole un altro passo, e poi l'ultimo, fai solo questo e ci siamo.
E arrivavo a casa. Le pecore non hanno paura. Non perché il Pastore sia coraggioso. Ma perché è lui ad avere paura. Al loro posto.
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