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Profeti e Sibille

Francesco Saverio Altamura, la chiesa di Santa Maria Apparente e io…

Francesco Saverio Altamura, la chiesa di Santa Maria Apparente e io…

La chiesa di Santa Maria Apparente

Per tanti “Altamura”  è solo il nome dell’Istituto tecnico industriale di Foggia o, per altri (meno in realtà), di un suggestivo vicolo del centro cittadino che a Natale si colora di luci e festoni. E invece no. È molto altro. Ed in realtà le due dedicazioni sopra dette, non rendono giustizia ad uno dei più importanti esponenti dell’800 italiano, ad un pittore a cui ora la sua città, Foggia, dedica un dovuto tributo con una grande mostra monografica. Proprio alla presentazione della mostra a Palazzo Dogana, tra una calca pressante di entusiasti visitatori, uno dei curatori, Luisa Martorelli del Museo di Capodimonte, si è lasciata sfuggire un dettaglio della biografia del Nostro che subito mi ha detto qualcosa. Si, l’ha detta proprio a me.

Questo particolare ha a che fare con la vita del focoso patriota. L’episodio risale al periodo in cui Altamura si trasferì a Napoli. Qui si arruolò nel quarto battaglione della Guardia Nazionale e nella notte del 14 dicembre 1847 prese parte ai tragici fatti che sconvolsero la città partenopea, tra Piazza San Ferdinando e Largo Carità combattendo alle famose barricate di Santa Brigida. Non solo dunque la scelta di Napoli per “bazzicare” la Scuola di Posillipo ma anche per confondersi con un manipolo di facinorosi anti-borbonici a cui lui, per solidarietà e passione pregressa, si unì. Si è delineato dunque il quadro di un Altamura impavido che oltre ad amare l’arte e le donne (tante a dire il vero), affrontò con altrettanta vérvela questione politica, e dove oggi “attraenti” signorine mostrano le loro grazie ammiccando dalle auto di lusso, lui alzava le barricate partenopee. Che destino crudele ci tocca ai nostri giorni, nel vedere proprio lì, avvenenti femminielli che, ignari loro di cotanta storia, sfilano in mise tutt’altro che acconciate e, a pochi passi dal Maschio Angiono, adescano facoltosi clienti.

Diversa la storia che vogliamo raccontare; non fu infatti la buoncostume a portare via Saverio ma le guardie borboniche che lo arrestarono insieme a Carlo Poerio e Mariano D’Ayala, rinchiudendolo nel carcere di Santa Maria Apparente. “Allora era vero”, pensai. Guarda un po’ cosa dovevo scoprire del mio concittadino più celebre, che fu imprigionato nel carcere di Santa Maria Apparente. In quello stabile, chiamato “Palazzo Settembrini”, in memoria del periodo di prigionia del celebre patriota Luigi, palazzo dicevo dove io avevo vissuto in qualità di “libera condomina”, per quattro intensi anni ai tempi dell’Università. E quell’esclamazione che tornava alla mente si riferiva alle parole della signora Manente, la padrona di casa. Questa, all’atto della stipula del contratto di locazione, prese da parte me e le altre studentesse, e con un abbraccio da vera mamma napoletana si lasciò scappare, con veemenza e un pizzico di orgoglio: “Voi ragazze non lo sapete quanto siete fortunate ad abitare in questo Palazzo, qui non sono mai state affittate case agli studenti. Questo palazzo è nobile. È stato imprigionato Luigi Settembrini”. Effettivamente noi in quel palazzo davamo molto nell’occhio. Si vedeva che i proprietari delle prestigiose abitazioni ci guardavano con sospetto. Ma poi trattandosi di cinque giovanissime studentesse, della nostra presenza (complice l’avvenenza di qualche d’una), pian pianino se ne fecero anche loro una ragione.

E comunque mai e poi mai avrei immaginato che, a pochi metri da casa mia, fosse stato incarcerato niente di meno che il più celebre dei miei concittadini, il pittore Francesco Saverio Altamura; e che le scale che percorrevo ogni giorno dal corso Vittorio Emanuele verso l’appartamento in fitto, mi portavano dritto dritto a quelle che un tempo erano state le sue prigioni!

Fu sempre la signora Manente a raccontarci la storia di quel Palazzo e, con tanto di documenti alla mano, ci spiegò la sorte che era toccata negli anni a Santa Maria Apparente (nelle fonti Santa Maria a Parete, in ricordo di un’antica effigie della Vergine affrescata su di un muro, ancor oggi venerata nella chiesa), dapprima convento, poi carcere, ed infine “Palazzo degli Ufficiali”, poi particellato e venduto a privati negli anni ’10 del Novecento; anni nei quali aveva acquistato un paio di appartamenti “vista mare” suo suocero, buonanima…

Quindi, io potevo aver abitato proprio dove Altamura trascorse i giorni più difficili della sua vita da patriota. No, no, non era così. Ricordo anche in questo le parole che mi rivolse la proprietaria di casa quando si accorse che l’animo storico-artistico era rimasto affascinato dal racconto del periodo anti-borbonico. Pose dunque un punto certo per acquietare la mia curiosità: “Le altre stanze del convento erano diventate celle nell’Ottocento, la tua no… dove dormi tu, no. Dove c’è la tua stanza, c’era la Cappella delle monache e non fu toccata”. E ti pareva, pensai: Dove vivo io c’è sempre – come in questo blog – una strana commistione: po’ di sacro e un po’ di profano.

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Francesca Di Gioia

Francesca Di Gioia

Francesca Di Gioia è docente di Arte Sacra e Beni Culturali del territorio presso la Facoltà Teologica Pugliese di Foggia. Si è laureata cum laude in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Istituto di Magistero "Suor Orsola Benincasa" di Napoli. Si è specializzata in incisione presso l'Istituto Nazionale per la Grafica di Roma e si occupa di Grafica d'Arte. E' giornalista pubblicista, collabora dal 2005 con il settimanale "Voce di Popolo". Ha conseguito il Diploma in Biblioteconomia presso la Scuola della Biblioteca Apostolica Vaticana ed è Operatore Didattico dei Musei Vaticani. Ha pubblicato "Invenit, delineavit et sculpsit. Per un approccio alle Arti Grafiche" per i tipi delle Edizioni Il Castello e "Vissi d'arte. Cinque anni di penna appassionata" con le Edizioni del Rosone.

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