IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
16.06.2013 - 10:01
La vita passa, o ci attraversa. O ci fa male, come un dente cariato o una colica cattiva che ti arriva a tradimento. La vita passa nelle facce, quelle che soffrono e si scavano, affilate come la faccia di un lupo affamato; passa fra le mani che raccolgono saluti e fra quelle bagnate di segreti e di imbarazzo. Passa, nelle pance sempre più sazie, ma più scarse di passioni, negli occhi abituati alle annoiate consuetudini. Passa nei giorni delle malattie, che però a volte sembrano affezionarsi ad un letto e presuntuosamente credono di essere immortali, passa nelle ore delle inconsistenze intellettuali, negli onomastici dimenticati, negli abbracci inaspettati, nelle discussioni irritanti, nei segnali di guerre mai risolte. Passa, ma la puoi fermare. Per un limite di tempo che ti serve ad organizzare un sogno, un'illusione, un tempo corto come una nebulizzazione di areosol. Per sfoderare un ghigno di cattiveria che ti può proteggere, solo per un attimo, e che però ti può insegnare che sei ancora in tempo per fare delle riforme necessarie per te stesso. La puoi fermare per guardare da dietro un vetro di un balcone le foglie appena nate su un ramo sbattuto da un vento ancora freddo di giugno, per ricordarti il panorama che conosci da quando sei stata bambina. Scarpe piccole, gambine corte, gatti che miagolano, nonni che parlano, voci di adulti e ronzii di mosche. Odore di zagare e di fragole mangiate dalle formiche, lo belare in lontananza delle pecore che tornavano dal pascolo, l'erba alta incolta e spinosamente selvaggia, le rondini che si rincorrevano sotto un cielo rosa che avrei voluto per sempre come il mio leale alleato. Ora la casa è silenziosa, restano gli alberi, e le antichità dei muri e dei mattoni. Hai guadagnato spazi e conoscenze, esperienze e giorni pieni, ma qui, dietro i vetri del tempo andato, resta un senso di vertigine e di vaghezza per il futuro. Un libro, tanti libri, e poi penne per scrivere le poesie, per annotare nomi, che vanno e che arrivano. Che passano, come passa veloce il tempo, quando il suo disegno regala giorni buoni. Ma le foglie restano, attaccate piene di energia a rami vecchi e forti, che hanno visto me da piccola, poi mio figlio giocare con i cani, oggi la figlia di mio figlio che rincorre gatti rossi e sempre affamati. Le foglie non hanno memoria, ma riconoscono i loro luoghi, e si affezionano alla loro aria, forse sono più fedeli agli affetti eterni, meglio degli stessi uomini. Perché, altrimenti, non mi saprei spiegare la tenace e strepitosa rinascita, anni dopo anni, vicende sopra vicende, uomini dopo uomini. Umanità di mezzo, fra un sorriso dolente lungo una vita e occhi chiusi per non vederla, fra una parola d'amore e un pugno al cuore, fra la risata cristallina di un bambino ed una malattia, fra una notte d'amore e tante altre di rabbie, ricoperte e nascoste sotto le vestaglie belle del corredo. Uomini di traverso, dietro un vetro per ripararsi dal vento, e subito dopo su un cornicione per provare a fare gli equilibristi, con il pianto nel petto e subito dopo una fetta di torta nel piatto. Fuori nell'aria per respirare e dentro i respiri per capire di essere vivi. E il tempo passa, e quando sarà passato ci chiederemo ancora, almeno una volta, se siamo stati veramente qui. E se ci siamo stati, cosa abbiamo lasciato, e cosa ci portiamo dopo la vita, e che ricordi si avranno di noi. Si ha bisogno di lasciare tracce, per dare significato alla vita. Che passa, indifferente ed altera, superbamente generosa o avara e stitica. Misantropa e chiassosa, comprensiva o perfida. La vita. Chissà se, nel profondo, ci ha mai veramente conosciuti. O se ci siamo mai umoristicamente incrociati.
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