IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
30.08.2015 - 10:25
Giulia beve caffè amaro, accarezza la tazzina come se fosse il viso di un bambino, con la delicatezza che si usa per le cose fragili, ma con la familiarità dei gesti consueti. Giulia ha mani piccole, senza anelli, unghie corte e curate, le dita sono sottili. Sono mani accoglienti, perché quando le muove tende a collocarle vicino alle mie, a toccarle fino ad abbracciarle. E sono calde, nonostante l'umido freddo del mattino che irrigidisce l'aria. Le mani parlano, riempiono vuoti di conversazioni, spiegano i fatti, scelgono il grado dell'intensità narrativa e chiariscono le intenzioni. A volte sono vere e proprie strade di comunicazioni lucide e necessarie, come nella lingua dei segni. Rotolano informazioni e arrivano certezze, dalle mani di Giulia. Precisano le sue posizioni e disegnano le sensazioni. Mentre racconta, si capisce subito che il suo italiano è appreso da poco, solo meno di un anno, anche se usa espressioni corrette e complesse, anche se ogni tanto mi chiede in inglese se ho compreso, ma l'incedere della conversazione è fluida, non frastagliata, non invalidata da lacune concettuali. Giulia ha un abito di lino bianco, ha una collana di pietre rosa, i suoi capelli ricci e rossi sono scomposti ma al tempo stesso ordinati, gli occhi grigi sembrano nuvole di tramonti invernali, tutto sembra essere armonicamente perfetto. Quando nel racconto ci si spinge dentro, ecco che viene avanti il suo dolore, l'abito bianco sembra insozzarsi perché le parole sono dure e buttate fuori come acqua sporca che viene giù dalle strade asciutte dopo un temporale estivo violento. Il bianco si nasconde e si scolora di luce, si piega, si strapazza, e la chiarezza si sperde lontano insieme allo sguardo, che diventa pesante. Giulia pensava che l'amore fosse cosa preziosa come una casa pulita e calda, che fosse sempre il mare d'agosto che ti accoglie e ti circonda, che fosse aria che andava condivisa di respiri, che fosse scegliere il sogno di un momento e tradurlo in giorni. Che l'amore fosse uguale per chi lo prova e per chi lo riceve, che fosse ascolto e pelle, distanze dense di desideri, saliva e carne, sangue sano che scorre e braccia strette che lo proteggono. Che fosse una raccolta di sentimenti, una donazione confermata dalle dichiarazioni quotidiane, l'impegno solenne di cercarsi con le mani e di sapersi riconoscere. Le mani. Quelle di Giulia ora sono diventate fredde, sudaticce e ferme, come rametti secchi invernali sotto le nebbie, non si muovono più. Intrecciate fra loro sembrano darsi coraggio e compagnia, e come le parole e i sentimenti, come gli strappi e le mancanze, sembrano arrese a scelte ormai prese e perse. Giulia e il suo progetto sentimentale fallito torneranno indietro, il viaggio di ritorno da una delusione e da una ferita saranno una sconfitta che nelle piogge autunnali dell'Inghilterra avranno tracce sbiadite di sole solo nelle fotografie. Giulia riparlerà la sua lingua, ritornerà a richiamarsi Julie, avrà nuove fortune. Il volo dei pensieri che giocava con le celebrazioni dell'amore è stato fermato, il volo alto dei giorni appassionati è stato azzoppato… Mentre, invece, un altro tipo di volo è stato ragionato, deciso, prenotato. E mi dicevo, per un istante pieno di spregiudicate fantasie (quell'istante cioè in cui vorresti cambiare il mondo ma non puoi) che sarebbe miracoloso e possibile, se per caso quel volo potesse essere lo stesso che per la medesima destinazione, ma per umane aspirazioni diverse, dovrà prendere il caro Luca. Perché io so che ci sono luoghi misteriosi, nell'aria, in cui le mani che raccontano il dolore ce la fanno, a riconoscersi da un'unghia. (p.s. Luca, post del16 agosto).
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