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Storie e Geografie

Tira la corda

Tira la corda

Il frutto era dolce e succoso. Non ne aveva mai mangiati in vita sua. Li aveva solo visti nelle vetrine degli empori, quando, ancora bambino, aveva una mano da stringere mentre guardava e una mamma da supplicare, sebbene inutilmente. Poi, conosciuta la causa degli impietosi rifiuti, aveva smesso di guardarli per desiderare quello che davvero mancava nella sua malandata e crudele famiglia. Anche quando aveva fatto quella maledetta rapina non aveva pensato di arraffare qualche mela. Solo i soldi. Per quelli, il giorno del suo primo colpo, aveva sparato e ucciso il negoziante. Per il denaro -che ormai non gli bastava più e di cui era innamorato con una ferocia pari solo alla miseria in cui era cresciuto- aveva deciso di diventare un professionista.

–Visto un morto li hai visti tutti– gli diceva il suo amico e maestro, unico vero padre che avesse mai avuto –e non fa differenza se è nero, donna, bimbo o vecchio–

La differenza c’era: nel numero e non nella qualità. Dopotutto stavano cominciando a diventare troppi. Troppe voci lo tormentavano la notte ma ormai, dopo aver ucciso tutte quelle persone, non poteva più sperare di essere perdonato, di scontare una pena in carcere e potersi dopo rifare una vita. Per lui ormai c’era l’impiccagione. Si ricordava vagamente che qualcuno glielo avesse detto ma non aveva chiaro in mente né quando né dove. Forse in qualche processo.

–Bah! E’ meglio non pensarci. Diamo piuttosto un’occhiata in giro– disse fra se.

Il posto era meraviglioso. Gli ricordava quelle illustrazioni sul libro del catechismo a proposito del paradiso. Un prato verde e soffice si stendeva a perdita d’occhio, qua e là qualche albero da frutto, fiori colorati. Caldo, molto caldo. Tanto da non poter concepire che fino a poco tempo fa girava con la pelliccia e le racchette da neve; infatti era completamente nudo. Stranamente non se ne vergognava, anzi si piacque. L’adipe che lo ricopriva non c’era più, osservava i suoi addominali perfettamente definiti, le gambe muscolose. Si sentiva in forma, era pulito, fresco. Si passò la mano fra i … i capelli! Gli erano ricresciuti i capelli!

Cercò uno specchio, una pozza d’acqua, avanzò per pochi metri e la trovò dietro un albero. Era ringiovanito, poteva avere si e no vent’anni.

Cominciò a guardarsi intorno. Dove diavolo era capitato?

–C’è nessuno qui?– disse quasi a se stesso.

–C’è nessuno qui??– urlò a squarciagola. Gli fece eco il canto degli uccelli. Un canto dolce, sommesso. Subito dopo li vide. Coloratissimi, innumerevoli, passavano di albero in albero. Vide anche altri animali: scoiattoli, cani, pecore. Non li aveva visti prima o non c’erano? Avrebbe dovuto essere spaventato ma non ci riusciva. Cominciò a camminare.

–Qualcosa troverò. Qualcuno. Ne verrò a capo!–

Il cielo era azzurro, senza nuvole, gli alberi divennero più numerosi, cominciò il bosco. Stranamente però vide alle spalle la stessa quantità di piante. Come se, invece di iniziare a infittirsi, gli fossero cresciute improvvisamente intorno.

D’improvviso la vide. Bellissima, alta, nuda come lui, il corpo perfetto e invitante. Gli sorrideva.

–Chi sei?–

La donna non rispose, continuò a sorridergli e a tendergli le braccia.

–Chi sei?– chiese ancora mentre si avvicinava, passo dopo passo, quando invece aveva una gran voglia di scappare. Sembrava che il suo corpo non gli appartenesse. D’improvviso la riconobbe e l’iniziale timore si trasformò in panico.

–Senti, aspetta … posso spiegarti tutto … io non so cosa mi abbia preso, non lo avevo mai fatto prima ma tu eri così bella …–

Continuava ad andarle incontro, passo dopo passo, come un pezzo di ferro attirato da una calamita. Lei continuava a sorridere e ad attenderlo. Invitante. Maliziosa.

–Io volevo chiederti scusa anche prima. Ti ho chiesto scusa! Ma tu non hai sentito, non mi ascoltavi più. Non mi sentivi nemmeno quando ti dicevo di stare zitta!!–

La donna gli andò incontro, sorridente. Ma quando lo afferrò per la gola e lo sollevò lei non sorrise più. L’uomo cercò inutilmente di divincolarsi mentre i suoi piedi cercavano il terreno, soffice e verde. Il fiato cominciò a mancare, l’ultima cosa che sentìfurono le sue gambe, come dotate di una propria forza, cercare quasi di fuggire da quel corpo che ormai si stava arrendendo mentre il petto pareva scoppiare.

E intanto lei ha ripreso a sorridere. E tira, tira, tira...

 

Tira la corda per l’impiccato

Svanisce d’incanto tutto il creato.

Alberi, fiori di ogni colore

non hanno importanza se continua il dolore.

Il collo si spezza, non è la pazzia,

ma un sogno che finisce. E la vita va via.

 

Dedicato ad Ambrose Bierce

 

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Marco Scillitani

Marco Scillitani

È nato nel 1967, il 23 novembre, giorno che gli ha consentito di festeggiare un compleanno indimenticabile con il terremoto del 1980. Fa l'avvocato non per vivere, ma perché lo trova interessante e, non avendo mai saputo usare le mani gli è parso il metodo più efficace per raddrizzare le cose storte. Insegna Magia e Formule all'Università, ma di nascosto. Chi lo ascolta crede che parli di Procedura penale. Solo il titolare della cattedra se ne è accorto ma fa finta di niente. Da piccolo ha cominciato a osservare quello che gli accadeva intorno, collezionando storie e territori immaginari. Quando qualcuno glielo chiede, le restituisce. Ma non si assume responsabilità.

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