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I pensieri dell'Altrove

"Tu sei mia": amore o possesso omicida?

In un rapporto dove la sessualità perde il senso dell'incontro d'amore, e invece si trasforma in un mostro che ti strangola, i corpi diventano armi mortali, le mani sono incubi infiniti, le bocche sputano sangue.

"Tu sei mia": amore o possesso omicida?

Mi sono sempre chiesta come hanno amato, questi uomini mostri, le lori madri. La prima figura femminile che i loro occhi vedono, il primo seno che li allatta, le prime mani che accarezzano. 

“Tu sei mia". Tre parole, ma vanno ad impattare fortemente sulle corde della  sensibilità. Danno vertigine, euforia, potenza. Vengono dette spesso nella fase di un innamoramento giovane, volano nell'aria come le farfalle nello stomaco, come molecole ubriache e anarchiche. "tu sei mio". È il patto di appartenenza, è il testamento d'amore e di devozione che i vivi pieni di felicità provvisoria si regalano come gioielli di fuoco ardente. L'amore è uno stato di sana malattia, hai il respiro corto, dormi poco, hai il pensiero concentrato sulla luna, hai il cuore che ti inonda il corpo intero. Quando "tu sei mia" è solo rigurgito sentimentale intenso detto mentre si fa l'amore, o al mattino appena svegli insieme, o ancora quando si guarda un tramonto sul mare… quando cioè la densità del sentimento parla per te e tu ne sei allegramente  e stupidamente consapevole, le tre parole hanno una valenza di professione di fede. La variante agghiacciante, però, è che in questi nostri giorni 'tu sei mia' è il tragico elemento criminale nascosto e incubato da uomini assassini.  La sequenza di omicidi, che in un neologismo di genere oggi si chiama  femminicidio, è spaventosa. L'esercizio malato e convinto di poter possedere una donna, quindi un essere umano, come fosse una cosa da usare, da abusare, da consumare, da violare, fino al progetto criminale di sopprimerla uccidendola, sta diventando insopportabile. Non mi piace fare della dietrologia oziosa, ma è fuori discussione che retaggi culturali irrispettosi e impietosi nei confronti delle donne, vanno a confliggersi con la dimensione equa e dovuta che noi stiamo acquistando nella società. C'è un maschio predatore omicida che non conosce il Bene, che dinanzi ad un rifiuto usa lo schiacciamento della personalità della donna, che riduce la sua autostima nel tentativo di ridurla all'assoggettamento, che nei maltrattamenti pretende l'obbedienza, che nel terrore è convinto follemente di ottenere la schiavitù. In un rapporto dove la sessualità perde il senso dell'incontro d'amore, e invece si trasforma in un mostro che ti strangola, i corpi diventano armi mortali, le mani sono incubi infiniti, le bocche sputano sangue. Quel sangue che invece di essere vita che circola diventa schifosa morte rabbiosa. Mi sono sempre chiesta come hanno amato, questi uomini mostri, le lori madri. La prima figura femminile che i loro occhi vedono, il primo seno che li allatta, le prime mani che accarezzano. E mi sono detta che tutto comincia da li, da un sano od insano imprinting, da un insegnamento al Bene che forse non c'è stato, da un padre che a sua volta sconfessava vergognosamente la madre, da un rispetto che veniva deriso ed eluso. Quanto cuore spezzato dobbiamo ancora sopportare? Quanto umano bisogno di amore dobbiamo 'vigilare'? A quanto controllo dobbiamo costringere le nostre braccia, che invece proteggono, custodiscono, scaldano? Ma davvero dobbiamo ancora invocare che nelle case si imponga, come in un esorcismo, l'idea del Bene, dell'amore come benessere, come ricchezza, come alleanza? Oppure proporre un disegno di legge, dove venga prevista nelle scuole un'ora di educazione sentimentale. Obbligatoria. Che più di un logaritmo o di un repertorio di nozioni serva a salvare quello che resta di questa umanità sbandata. E che magari insegni agli uomini che le proprie tragedie interiori si curano. Ma non nella follia del crimine, usando la blasfemia del "tu sei mia".

 

 

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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