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I pensieri dell'Altrove

E se provassi ad andare oltre il tuo cancelletto?

E se provassi ad andare oltre il tuo cancelletto?

Andare oltre il cancelletto del giardino che aveva sistemato mio nonno, era andare contro la regola. Era uscire dall'ubbidienza ed entrare nella trasgressione, era attraversare il confine fra la disciplina e la negligenza, fra la norma e la libertà. Io da piccola lo facevo spesso, da sola o in compagnia, nei pomeriggi di maggio con i miei compagni maschietti l'atto più anarchico e fortemente indipendente era cacciare da una tasca un coltello da cucina e tagliare, pulire e mangiare i 'cardoni'. Le femmine portavano un pizzico di sale in un fazzolettino, i maschi i coltelli, ed ecco che già nel potenziale sociale pre adolescenziale si intravedevano i ruoli. L'uomo con l'arma nella tasca, noi femmine con il condimento da cucina e gli strofinacci. Il rito del cardone si faceva in gruppo, forse perché ci davamo coraggio in vista della degustazione non propriamente irresistibile, ma era bella la coesione e la condivisione intorno a spine dalle punture dolorose e insetti ingoiati con finta disinvoltura che con molta probabilità hanno, nel tempo, rafforzato i nostri sistemi immunitari. Andare oltre il cancelletto di mio nonno era andare verso l'avventura, la sfida dell'ignoto pieno e la seduzione dell'autonomia. Ogni giorno, come un soldatino, avanzavo di cinque centimetri e ogni giorno mi cresceva dentro uno spazio parallelo di cinque metri, mi misuravo con la paura e con la consapevolezza impertinente della lontananza voluta e non subita. Un giorno mi sono spinta oltre la collinetta dolce che si stagliava davanti al mio giardino, confine rigoroso e invalicabile. Erano arrivati il giorno e la distanza giusta per andare a vedere da vicino una stanza nuova del mondo animale che ogni giorno sentivo ma non vedevo: le pecore. Ma non quelle al pascolo, statiche e mute, contemplative e inaffettive, parlo invece di quelle che tornavano a casa, quelle che avevano figli da allattare e che cominciavano a chiamare e a cercare già da lontano. Fu una folgorazione, ero frastornata dalla capacità tutta ovina e tutta universalmente materna di 'riconoscersi'. Ogni agnello odorava con assoluta precisione solo la sua mamma e ogni mamma accoglieva e nutriva solo suo figlio. Il potere olfattivo che diventava biologica appartenenza. In un belare prima inquieto ed ansioso, rumoroso anche per i campanelli attaccati alle gole, e poi così appagato e rassicurato. Una struttura affettiva naturale e preziosamente viva, un abbraccio di odori che dava identità e cura, contatto e futuro. Ero felice e piena di pensieri. Quel giorno ero andata oltre, molto oltre il cancelletto di mio nonno, quel giorno avevo conquistato la collina ed il sapere, la terra e la fiducia, il segreto ed il senso dell'intimità, ma anche e soprattutto il rispetto e l'ammirazione verso tutte le pecore del mondo. E in un impeto di orgoglio e di baldanza, il cardone quel pomeriggio decisi di mangiarlo in modalità solitaria. Quel giorno, nel rientrare nel cancelletto-confine che aveva costruito mio nonno, io mi portavo strette nei pugni due prime certezze: che non c'era più il mistero dei campanelli dietro la collina e che per crescere occorre camminare da soli ed imparare. Per tutto il resto, avevo ancora tempo.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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