IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
05.04.2015 - 10:03
Vedevo mia madre entrare in una leggera e familiare ansia, la vedevo nei giorni precedenti fare pulizie di casa come fossimo in procinto di un trasloco, poi la ricordo in piedi, in cucina ad impastare, infornare, decorare. Ricordo che cercava collaborazione, fra colline alte di farina, uova e zucchero, ma avevo sempre una scusa stupida per evitarmi quel rito tradizionale e noioso di impastare i taralli. Parlo di quelli grossi, che ora non vedo più, parlo di quelli che più erano leggeri più erano perfetti, più avevano piccole crepe sulla superficie più erano belli, segno che erano ben nutriti da uova e lavoro di mani. A me non sono mai piaciuti, "n'zuccus"(asciuttissimi) e con poco carattere, buoni solo da guardare nella rotondità precisa e morbida della forma, ma se non ti attrezzavi di un bicchiere di acqua, subito dopo il primo morso rischiavi una semi asfissia da strozzamento. Ricordo la cura di mia madre nel disporli ordinatamente sulla teglia, ricordo l'apprensione nel controllare la cottura, infine la soddisfazione nel presentarli in una cesta, tanti anelli grossi, energetici, simbolici, sazianti. Mia madre era particolarmente sensibile ai riti della Pasqua, più di quelli del Natale, il suo bagaglio di tradizioni era rigido, immutabile nella sua sacralità, ma le conferiva la sicurezza e la consapevolezza di avere un ruolo fortemente educativo e disciplinare, e nella preparazione dei dolci si percepiva la potenza concentrata della terapia del nutrimento, quello dato con amore, creato con le mani, con la cura. Noi donne siamo geneticamente predisposte ad associare il cibo come nutrimento e non solo come piacere, quando un figlio non mangia come noi vorremmo entriamo in una bolla di affanno, il cibo come equivalenza di salute, benessere, crescita. A me i taralli grossi non piacevano, nonostante mi sforzassi di farmeli piacere, soprattutto perché dovevo sedare quel senso di colpa fastidioso per non aver dato nessun contributo, ma ogni anno, sistematicamente, fra tutti i dolci preparati, chissà perché, gli unici che restavamo molto a lungo nella cesta erano i taralli grossi. E mi assolvevo. Ora quei taralli grossi non li vedo più, piuttosto vedo mostre virtuali di dolci perfetti ed ammiccanti nelle vetrine di facebook, amiche che mostrano il loro talento con una soddisfazione tutta casalinga, fotografie che condividono creando momenti antipatici di deglutizioni fasulle, invidie buone, messaggi fotografici a metà fra la seduzione e la proposta del cibo che diventa una forma moderna di comunicazione. E, almeno in quei cinque minuti di vita sulla rete, l'offerta visiva della loro abilità può regalare gratificazione, visibilità e compiacimento. Forse, magari, anche un ritorno di un pizzico di felicità. Anzi, per essere precisa, userò un'espressione molto flessibile che si legge nelle ricette titolate, quindi non un pizzico, ma la felicità sia, per ognuno di noi: "q.b.". Quanto basta.
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