IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
02.11.2014 - 10:17
L'angelo della morte
È stato come un tuono. Ma non aveva quel suono sordo e profondo, quello che rimbomba, no, è stato come una caduta di lame di ghiaccio, di spietate pareti di vetri aguzzi e taglienti. Un tuono che non aveva luce che ti avvisa, che te lo senti prima nel petto fino a farti male da urlare, poi nelle gambe fino a farti tremare di paura. Per ultimo, solo per ultimo, ti percuote la testa. Forse per un inutile tentativo di rifiuto, un estremo mezzo di inefficace difesa, per non sentirsi invasi da qualcosa di terrificante e stordente, di sconosciuto e spudorato, ma ormai, di accaduto. Era il primo novembre del 1993, e noi ci siamo lasciati. Tu, ci hai lasciati. In una città meravigliosa che dentro al suo nome raccoglie la storia e l'eterno, ti sei congedato dalla vita e dai tuoi occhi, dalle tue mani pulite, dal tuo sorriso pieno di promesse e di desideri, dalle tua braccia forti. Avere l'età giovane e la vita finita non ha molta logica, se non quella della umana incomprensione e/o relativa accettazione. E se stabiliamo che non ci può essere incomprensione nei fatti di logica, dovremmo dirci che siamo tutti ignoranti e tutti impreparati, tutti ostinatamente legati a certezze che si sfaldano, tutti impauriti da quelle verità che sono più grandi delle nostre stesse paure, per esempio che alcune vite non sono per niente amate dalla stessa Vita perché sono oggetto di grande desiderio solo della Morte. Non si vince mai sulle tragedie, è come se il copione prevedesse una spada sospesa, non quella dei circhi e nemmeno quella nobile dei samurai, ma una spada senza anima, senza misericordia, senza troppo senso della giustizia, che quando il meccanismo invisibile e potente le ordina di sfoltire essa diventa molto ingorda e ingiustificabilmente cieca. Ora, seppure io credessi in una prospettiva futura convergente con Te, so che non mi riconosceresti, sono invecchiata e la mia bocca ha le rughe che vanno all'ingiù, forse ancora la voce è rimasta quella che ti rimproverava, poco credibilmente, come solo le sorelle maggiori possono provare a fare. Io non so se ci 'vedi', non so se quando ti penso senti arrivare il mio doloroso calore e la mia inesauribile pena, non so se quando ti sogno avverti il mio strappo nel cuore al risveglio sudato, non so se qualche volta sei davvero riuscito a proteggermi, non so neppure se senti quanto, immensamente, mi sono mancati i tuoi passi leggeri sulla mia strada pesante e se, infine, ti accorgerai che io continuerò ad avere materna cura della nostra intimità. Quello che so è che come in tutti i più clamorosi e scellerati errori della signora vita Tu ci sei andato maledettamente a finire dentro, e lì, stramaledettamente, ci sei rimasto. Ma Tu, come un Dio immortale ed immutabile, sei rimasto bello, con gli occhi accesi, caparbio, intelligente, incorrotto. E soprattutto sei rimasto giovane, spaventosamente giovane. Da morire. (Etta)
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