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Pensieri dell'altrove

Quei paesaggi per cui ti senti come in una culla al centro di un silenzio antico

Quei paesaggi per cui ti senti come in una culla al centro di un silenzio antico

Sembra essere il tema delle nostre quotidiane osservazioni: i paesaggi. Se li  guardi con un discreto distacco riesci a perdonare al tuo paesaggio, che so, la  mancanza assoluta degli alberi, la scarsità di elementi naturalistici di un  qualche rilievo, l'incuria che si è perpetrata per anni. Ma sono i tuoi  paesaggi, sono quelli che vedi al mattino appena sveglio e quelli che  all'orizzonte ti fanno intuire che. oltre le luci che vedi di sera, ci sono altre terre, altri confini, altri abitanti. I miei paesaggi sono abbastanza ampi, con lo sguardo seguo un cerchio che abbraccia due regioni, un pezzetto di  autostrada che stimola la mia indolenzita immaginazione, tante pale che girano, qualche cima di collina più alta che attira fiocchi di neve, paesini con le luci gialle, scie di aerei che non sai dove vanno, né da dove sono partiti. I paesaggi, dopo un certo tempo che li vedi, diventano l'arredo esterno di casa tua. Ti ci affezioni, anche se non sono di quelli da levare il respiro per la bellezza. Anzi, ti convinci che ad un panorama modesto gli devi della  benevolenza e carità. Come ai figli di un dio minore, come ad una famiglia  indigente. E ti sforzi di fartelo piacere. Poi, ci sono sere che il cielo si veste di celeste intenso, si mischia con il rosa, con graffi di bordò. E il paesaggio diventa strepitoso, fulminante, vivo. E sei nel mondo. In inverno, quando la neve assottiglia gli orizzonti e illumina la terra, ti senti come in una culla al centro di un silenzio antico. In primavera l'immagine è di un'adolescenza prepotente della natura che veste di verde la terra e popola il cielo di ali che sbattono libere. Ma in estate, allo bruciare delle stoppie, l'immagine dell'ustione permanente e desertificante sul paesaggio ti rende asfittico. E pare tutto cupo, arido, morto. Quella necessità dei tempi andati di volere seminare grano anche in collina, sterminando vegetazione e ossigeno, io la vedo come un atto violento subito da questa terra. Ci sono pezzi di Italia orograficamente simili al nostro, dove però vedi quantità di alberi e di verde che cambiano completamente la fotografia. La rendono elegante, ariosa,  vitale. Gli uomini è come se si fossero sforzati un po' di più nel trovare  risorse vitali diverse, e forse, così, avrebbero cambiato anche le economie. Ma adesso che  non si può più cambiare la geografia dei luoghi, io spero in  una coscienza nuova giovanile rispetto all'ambiente, in una sensibilità che  sento sempre più presente e in una politica attenta che tenda a migliorare la  qualità della  nostra vita. Allenando il senso civico e l'attenzione verso le  generazioni future, perché noi siamo i nostri paesaggi, li viviamo e li  respiriamo. Se miglioriamo i paesaggi esteriori, se non deturpiamo ancora quel poco che ci rimane, non è impossibile pensare che si migliorino anche altri paesaggi. Quelli interiori.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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