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I pensieri dell'Altrove

Quelle piccole donne che non riesco a chiamare prostitute

Quelle piccole donne che non riesco a chiamare prostitute
Questa è una storia di esplosioni. Di rabbia, di parole brutte, di pena, anche di spavento. Io non riesco a chiamare prostitute due piccole ragazze di quattordici e quindici anni. Non riesco a convincermi che sapessero tradurre, no, non la versione di latino, ma la vita che stavano subendo in una mancanza assoluta di sentimenti e di reale aderenza  alle loro aspettative giovanili. Questa è una storia di negazioni. Di cure familiari, di attenzioni dovute, di protezione da parte di una figura, come la madre, che si pensa dovrebbe insegnare a camminare, ad andare nel mondo, a consigliare, a custodire, ma mai ad invogliare la sua bambina in una pratica in cui la prima a violentare e 'uccidere' è proprio la stessa mamma. Negazioni anche di una età, certa solo per chi ce l'ha, ammesso che dopo tutto questo darsi innaturale e bugiardo, loro, le due ragazzine sappiano che sono ancora nel tempo degli sguardi, del batticuore, dei respiri puliti e profumati di cioccolata e gomme da masticare, non di cocaina. Questa è una storia di banalizzazione. Nel rendere supeficiali e superflui valori basici come il rispetto per i minori o la considerazione del danaro, che diventa prestazione, 'guadagno', piacere torbido in un appartamento senza sorrisi; banalizzazione di una performance, che non è scolastica, dove il premio è il buon voto conseguito, ma che diventa un accoppiamento turpe dove il premio è la borsa firmata. Società scollata e sorda all'umanità, teoremi sulle famiglie che sono solo aggregazioni anaffettive, a volte nuclei senza anime, come irragiungibili arcipelaghi con piccole isole sconosciute e indifferenti una all'altra. E poi questi uomini, che quando si vendono loro non si chiamano "putt..", ma molto più festosamente "gigolò"; questi padri, fratelli, in fuga dal senso di responsabilità e prede di eccitazioni estreme, storditi dall'idea dell'iniziazione, dal possedere una cosa che invece si chiama piccola persona, piccolo cuore massacrato a colpi di reni, uomini che 'niente eccita di più del fare male', di qualunque male si tratti. Mi viene da piangere, non  per l'oscenità etica di tutta la situazione e di tutti i personaggi, ma perché temo fortemente che per tutti i bambini, i ragazzini del mondo oltraggiati, sputati e manipolati, non ci sia mai più spazio nella loro vita per la tenerezza, la benevolenza, la compassione. Tutto quello, cioè, che a loro è stato criminosamente lacerato. Cose, piccole insignificanti cose, con un'anima sfilacciata fra lenzuola sporche e il dolore acuto che verrà.

 

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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