C'è una luce lucida e solenne, nei tramonti di settembre. Io che ho di fronte il profilo dolce delle ultime colline irpine che si incontrano con quelle della Daunia, mi sento ogni volta rapita e trascinata dalla purezza di questi colori, proprio come quelli che dicono di essere stati portati da misteriosi alieni in fantasiose astronavi. La luce di settembre è sincera, netta, precisa. Non ammette errori di definizione, di confini, di espressioni geografiche; è lì, ti avvolge e ti respinge, è di tutti ma la senti tua, personale e cosmica, intima e sfuggente, complice eppure distante. L'orizzonte sembra così irraggiungibile e perfetto che ti viene voglia di pensare a Dio, di fargli delle domande, di metterti in contatto con il divino, con il celeste, con il cielo. Poi ti accorgi che mentre pensi i colori cambiano, le suggestioni si ammorbidiscono, il taglio della luce è meno chirurgico e, con la dolcezza del crepuscolo avanzato, meno superbo e più scuro, i pensieri diventano già meno aggressivi e più terreni. Col buio siamo tutti più anticamente esposti ed impauriti, la sera è il tempo di tutte le preghiere, per chi ancora dialoga e pratica il raccoglimento pacifico con se stessi. I tramonti pre autunnali hanno il senso visibile della stagione calda che si licenzia mentre quella che arriva ti riporta appieno nella vita domestica, con i riti tradizionali dell'approviggionamento di quintali di conserva di pomodori, di legna e di uva buona per il vino "che tosto come il mio quest'anno non ce l'ha nessuno". Mi piacciono, i tramonti di settembre, se sono stata buona mi sembrano regali e messaggi di un qualcuno che mi vuole bene oltre la demarcazione del terreno (inteso come tutto quello che sta, se sta, oltre il cielo), se sono stata disobbediente li prendo come rimproveri supremi. Chissà perché, alla fine, di qualunque cosa sia composto o rappresenti il bello, dobbiamo andarci sempre a trovare delle colpe per non godercelo appieno e senza troppe recriminazioni inconsapevoli. Meno male che i mesi non ci ascoltano, e settembre torna, ogni anno ci ritrova, ancora accaldati e frastornati dall'estate rumorosa, e mette ordine nei palinsesti del quotidiano. Mese di frontiera, di ri-adattamento, di riflessioni. Per me anche di brutti ricordi. Ma in fondo tutta la vita è un corredo di ricordi mischiati a colori, a luci, odori, sensazioni. Relazioni strette, complicate e seduttive, nostalgiche e delicate, che fanno delle nostre vite degli itinerari unici ed irripetibili con l'unica scansione comune che è il Tempo. Con le sue memorie, con quello che ancora verrà, con la sua terra, i suoi giorni pieni di albe e di punti interrogativi, le sue faticose domande a cui non sai rispondere, le notti che hai paura anche di sognare. Ed i suoi tramonti lucidi. Come gli occhi del pensiero che li guarda.
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Mariantonietta Ippolito
Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.