IL MATTINO
Appena fresco di stampa, per "Chiarelettere"
03.02.2017 - 09:47
La presentazione del libro ieri sera a Rocchetta S.A.
Ieri sera, in anteprima nazionale, la presentazione a Rocchetta Sant'Antonio; oggi a Biccari.
“Poesia è malattia, diceva Kafka. Il poeta che manda in giro le sue poesie manda in giro i suoi virus, le sue fratture, i suoi tessuti infiammati. […]. La sua è una bulimia spirituale e, proprio perché è spirituale, non conosce limiti e confini. [….] . Il poeta è fuori dall’umano e come tale è un pericolo. Gli uomini non possono tollerare che esistano creature che hanno gli occhi, il cuore e le parole, ma che nulla hanno da spartire con loro. […]. Con questi pensieri Franco Arminio conclude il suo ultimo lavoro “Cedi la strada agli alberi”, dato alle stampe con i caratteri di Chiarelettere editore S.r.l. di Milano ed in uscita ieri 2 febbraio 2017. Per chi conosce l’autore sa bene che non sono certamente pensieri ad effetto, non provocano certamente istantanee mentali lucide e cromate che solleticano la nostra voglia di possesso. La sua voce e le sue parole vengono da un’ ”altra riva”, quella che sta “oltre la linea di ciò che appare”. Sono poesia, la quale fa perdere alle parole la loro corrente convenzionalità e neutralità, le libera dai loro veli usurati e le ricarica della loro pienezza originaria intrisa di sensazioni, affezioni, provocando stati d’animo di indefinita nostalgia. Nostalgia, si badi bene, non verso il tempo e i luoghi che furono e che l’autore non vuole assolutamente proporre come nuova “frontiera” alla nostra società. Nostalgia, invece, di un modo di essere, di porci e di relazionarci tra esseri umani, nostalgia di quella cosa che si chiama “paese” e per un mondo di sentimenti dove ognuno non sia antagonista di ciascuno, dove “Aprendosi, ognuno dei sorrisi può essere visibile, e perfino leggermente reciproco”. E tuttavia, tutto questo non si propone senza urti e interrogativi stringenti che non danno tregua al lettore. Gli è che Arminio non scrive, racconta, fa nenia di un mondo più buono e più bello, ma che comunque è guardato dall’esterno e da lontano. I suoi non sono bozzetti idillici, la cui amenità genera occasionale empatia e vago abbandono. Lui scrive, disegna immagini, ricostruisce ambienti umani standoci lui stesso dentro quegli ambienti, e con loro parla, dialoga, denuncia, come protagonista e così lo anima della sua anima attraversata da una vita ricca di intensità. Accade allora che, senza accorgersene, il lettore è trascinato con l’autore, parla con lui, lo interroga e si interroga, si pone domande e cerca, come fa l’autore, i legami dei fogli sparsi della propria vita, quei fogli sui quali c’è il segno inconfondibile delle proprie intensità vissute. E inevitabilmente la lettura coinvolge, non crea l’impressione del “già visto”, non consente interruzioni e riprese, anzi il lettore spesso ritorna su pagine già lette e ancor più forte avverte l’urto con il mondo che da fuori lo circonda e preme. Un mondo dove si “viaggia” sempre e in “crociera”, dove “si galleggia e non si scende a fondo” su navi che si chiamano Attualità, Velocità, Superficialità, Surfing, Novità, Competizione, Possesso, Godimento; dove la poesia non è esiliata, ma son sarà “un’impresa a perdere”, servirà a celebrare, di quelle navi, i fasti e la bellezza che evapora un attimo dopo essere apparsa. E’ un mondo, quello che preme intorno al nostalgico lettore di Arminio, abitato da uomini che “tifano” perdutamente per il nuovo e il denaro; uomini immersi nel presente con cui hanno sostituito il futuro, il quale, invece, fa paura malgrado i “droni” di cui possono disporre; uomini che più non amano, non credono, non sperano. E che uomini sono questi senza anima, senza cuore, senza libertà e senza Dio? Che mondo hanno costruito e abitano? Che ne è della solidarietà, della condivisione, dell’accettazione del fardello delle proprie debolezze e della propria umanità? Che ne è della capacità di cogliere i colori, i sapori, il lievito della propria terra? Sono, questi, interrogativi che fanno emergere nel lettore forte la nostalgia e con essa il bisogno di tornare per ri-conoscere e costruire il proprio “paese” smarrito di cui ciascuno ha bisogno senza per questo rinunciare al web e ai suoi device. Un “paese” popolato di relazioni off line, dove si educano desideri autentici e si vive nella dimensione della sobrietà, della leggerezza, della luce, del silenzio, nella dimensione di quell’essenziale che non si vede con gli occhi ma con il cuore, dove potremmo essere capaci di concederci “una vacanza intorno a un filo d’erba, “di concederci “al silenzio e alla luce, alla muta lussuria di una rosa.” La presentazione del libro, in prima nazionale, organizzata dall’associazione culturale” Presidio del libro” ieri sera a Rocchetta Sant'Antonio, oggi a Biccari.
edizione digitale
Il Mattino di foggia