IL MATTINO
Cultura
18.05.2024 - 16:08
Gabriele D'Annunzio
Gli epistolari sono la forma di letteratura più vicina al cuore, e sono il modo più intimo per entrare in contatto con qualcuno, ma anche il modo più difficile di rivelarsi perché deve esserci la stessa sintonia emotiva per sedersi e scrivere a qualcuno le parole esatte che una lettera impone. A nessuno si può scrivere a caso, e nemmeno si può scrivere a chiunque. Se lo si fa è un errore, e quelle lettere riveleranno l'incapacità, di chi scrive, di modulare i sentimenti, ed impietosamente anche la sua cifra umana, che molto spesso è inversamente proporzionale alla dimensione pubblica del personaggio, allo stesso modo mai bisognerebbe leggere gli epistolari degli altri se coloro che li hanno vergati sono in vita.
Non è il caso dei carteggi tra Gabriele D'Annunzio ed Eleonora Duse, di cui quest'anno cade il centenario dalla morte.
Quando Gabriele d’Annunzio conobbe Eleonora Duse, a Venezia, grazie a Matilde Serao, aveva trentuno anni, l’attrice ne aveva trentasei. Eleonora era già " la Duse", D’Annunzio era un poeta poco noto, eppure l'amore tra i due fu immediato, così le lettere. Molte di queste lettere sono state bruciate per volere della Duse. Ne sono rimaste comunque tante, raccolte in un volume che non è soltanto un carteggio amoroso. La complessità dei due protagonisti, protagonisti non solo del proprio tempo, attraverso la loro arte, ma anche protagonisti di una delle storie d'amore letterarie e “mondane” più note, è tale da non poter essere il carteggio tra i due solo una questione frivola, come mai sono totalmente frivole le questioni d'amore, soprattutto quando si tratta di personaggi sì fatti.
Il percorso di vita in comune della Duse e del Vate fu piuttosto lungo, tale da dare luogo a un’importante produzione letteraria, il cui fascino e la cui importanza sono ancora integri.
Questa raccolta di lettere prende il titolo di: “Come il mare io ti parlo – Eleonora Duse / Gabriele d’Annunzio – Lettere 1894-1923”, raccolta edita da Bompiani, nel 2014, nella collana Saggi, collana diretta da Annamaria Andreoli, studiosa di D' Annunzio, scrittore di cui tra l’altro ha curato l’opera omnia nell’edizione dei Meridiani, ed è curata da Franca Minnucci, attrice e studiosa del D'Annunzio autore teatrale.
Scriveva D'Annunzio:
«Io sono infedele per amore, anzi per arte d’amore quando amo a morte».
Rispondeva la Duse:
«Libero sei verso di me come verso la vita stessa».
Scrive Franca Minnucci:
«La Duse sul foglio corre, rallenta, rotola, urla, piange, sussurra, riproduce i suoi celebri monologhi, le sue intonazioni, quelle che hanno incantato il mondo».
Il foglio è il suo palcoscenico perché la scrittura, come la recitazione, è la più infedele rappresentazione di sé. Chi scrive gioca/recita con i propri riflessi, li filtra, restituendo al lettore un'immagine addomesticata e composita. Come appunto accade quando si recita.
La Duse e D'Annunzio si muovono su un ring, ring su cui come due pugili giocano e lottano ad armi pari, e dov’è il gioco/lotta l'elemento importante e necessario per tenere in piedi il loro rapporto, e la rappresentazione del rapporto che ne fanno fuori e sul ring.
D'Annunzio pur parlando sempre di sé, a differenza della Duse, non possiede un spazio interiore, era acerbo, dà l'impressione di essere solo il luogo in cui l'io si manifesta, una condizione, questa, auspicabile per qualsiasi scrittore ma che poi deve acquisire una profondità e una prospettiva altre. L’ "essere luogo" per un autore vuol dire riuscire a fare traboccare dentro di sé ogni cosa, condizione questa che permette a chi scrive di accogliere e di diffondere sensazioni, poi.
I due quindi perseguono idee diverse e differenti della vita e dell'arte, ed è questa diversità a unirli, a tendere la corda tra loro e a farli espandere nei loro campi di appartenenza, più di quanto non faccia lo specchio, che ognuno dei due rappresenta per l'altro.
Per questa ragione, D'Annunzio, per fortificare s e stesso e la propria arte, grazie al riflesso che la Duse gli restituisce, si ingegna a costruire un super-io che fa da cuscinetto tra sé e la scrittura. Questa creazione fittizia lo esalta al punto di autoproclamarsi “Vate”. Da questo momento e solo in questo istante si rende ineguagliabile e sommo, il D'Annunzio che tutti conosciamo.
Diventa così evidente come il rapporto tra i due fosse necessario ad entrambi per continuare ad affermarsi professionalmente, visto che erano specchi speculari, e invece i detrattori di entrambi pensavano che la loro storia fosse solo una "grande trovata pubblicitaria" fine a se stessa. Ma la trovata pubblicitaria "servì" a D' Annunzio per accrescere la propria fama e per essere "degno" della Duse. Eppure la verità fu che la Duse per davvero si innamorò di D'Annunzio e anche lui, a suo modo, si innamorò di lei, e questo li rese pari, diversamente la Duse non avrebbe distrutto molte delle lettere del cospicuo carteggio con lo scrittore, proprio perché le lettere rivelano come il loro passo a due fosse volto alla costruzione della loro deità, e quindi della loro gloria pubblica.
L’unica lettera di D'Annunzio sopravvissuta al fuoco della Duse è datata 17 luglio del 1904, la storia tra loro si era da poco conclusa, ma la lettera sembra riassumere tutto del loro rapporto: « Il bisogno imperioso della vita violenta – della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell’allegrezza – mi hanno tratto lontano. E tu – che talvolta ti sei commossa fino alle lacrime dinanzi a un mio movimento istintivo come ti commuovi dinanzi alla fame di un animale o dinanzi allo sforzo d’una pianta per superare un muro triste tu puoi farmi onta di questo bisogno? »
D’Annunzio aveva "un’anima sovrabbondante, un’anima che gli cresceva nella carne", a suo dire, ma questo lo faceva sentire monco, dandogli la sensazione di vivere a metà, «tra l’estremo della carne e il limitare dell'anima».
« Avevo ottenuto nel mio mondo interiore una sì meravigliosa instabilità che non soltanto il più lieve urto ma il soffio più lieve bastava a smuovere e scrollare immensi strati di coscienza, di cultura e di un sogno con rivolgimenti mutamenti scioglimento pari a quelli delle più grandi catastrofi. »
La risposta della Duse alla sua lettera è chiara, perché coglie a pieno quella che è la natura di D'Annunzio, al punto di restituirgli un immagine di sé perfetta.
« Non parlarmi dell’impero della ragione, della tua vita carnale, della tua sete di vita gioiosa. – Sono sazia di queste parole! – Da anni ti ascolto dirle. Non ti posso seguire interamente, né interamente comprendere […] Quale amore potrai tu trovare, degno e profondo, che vive solo di gaudio? »
Una domanda retorica quella della Duse, D’Annunzio concepiva la vita come una continua metamorfosi, con il gaudio e il divenire come soli riflessi.
« se ruotava dentro di sé, non avvertiva che un’infinita fluidità interiore […] In questo universo, non c'era verità né tempo […] La metamorfosi era continua, rapida e senza sforzo, perché non c'erano più forme, né io, né l’altro. Non c'erano nemmeno più i sentimenti. »
La Duse alla fine lo aveva compreso, da qui la bellezza di questo carteggio e “dell’editing”, ragionato, che la Duse ne ha fatto attraverso il fuoco con cui disciolse le lettere più intime. Quello stesso fuoco così caro a D'Annunzio, da scrivere “ Il Fuoco” proprio per lei, Eleonora Duse, e per sé, mettendo il punto alla loro storia d'amore, da Vate accanto a una Divina.
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