IL MATTINO
Cultura
15.03.2024 - 11:24
È possibile parlare ancora oggi di Fruttero&Lucentini come dei long seller?
Fruttero&Lucentini iniziarono a muovere i primi passi nel mondo editoriale italiano a Torino, in via Biancamano, la sede dell'Einaudi. Erano diversissimi e questo contribuì a renderli una coppia di successo. Erano consapevoli di non essere grandi scrittori, perché abituati, attraverso l'attività di traduzione, a leggere il mondo, e questo consentiva loro di non prendersi sul serio. A Lucentini si deve, tra le tante cose, la traduzione de "La biblioteca di Babele" di Borges, a Fruttero, il teatro di Samuel Beckett e a tutti e due "Le meraviglie del possibile Antologia della Fantascienza (1959) e "Il Secondo libro della Fantascienza" (1961), grazie alla collaborazione con "Urania".
L'attività di traduzione consentiva, ad entrambi, di misurarsi con la loro naturale capacità di narrare la realtà senza eccessi e isterismi. Lucentini imparava con grande facilità tutte le lingue che gli interessavano. Per lui, le lingue erano come gli ingranaggi della bicicletta: da smontare e rimontare.
La loro produzione non è seriale né occasionale. A loro non interessava il racconto a chiave, in loro tutto si fondeva così da accontentare qualsiasi lettore. Il libro diventa con loro anche un prodotto editoriale senza che il livello del testo ne risenta. E questo fece di loro gli antesignani di tutti gli scrittori di gialli e di noir all'italiana. In loro però il mescolamento di generi era autentico e senza forzature. Ma soprattutto volto a tenere in piedi la struttura del romanzo novecentesco, all'interno di un genere letterario: il giallo, che diventa un bestseller, cosa che accadeva ai loro libri. Tutta questa operazione era totalmente sconosciuta agli altri autori italiani, parliamo degli anni '70 e loro furono i pionieri di tutto ciò che oggi su carta, in rete e in TV seguiamo. Nel contempo, in seguito al successo de "La Donna della domenica", Alberto Ronchey nel '72 li invitò a scrivere un paio di elzeviri al mese, su qualsiasi argomento, per la terza pagina de "La Stampa", giornale che dirigeva. La rubrica si chiamava "L'agenda di F&L". Scrissero sempre con libertà assoluta, a parte una volta che si occuparono di Gheddafi, che in quel momento aveva acquistato una parte delle azioni della Fiat e questo creò un po' di scompiglio.
« Oggi non ha molto senso porsi come modelli i maestri settecenteschi della polemica e della satira giornalistica, né vale la pena di rimpiangere la loro influenza immediata, incendiaria, sulle opinioni del cittadino e del principe. Meglio pensare che si scrive da un osservatorio semidesertico, per una cerchia di amatori invisibili che il buon senso suggerisce di ritenere esigua, irrilevante.»
Ben altra sorte venne riservata a Carlo Casalegno, il vice di Arrigo Levi, che subentrò ad Alberto Ronchey nella direzione del giornale. Carlo Casalegno venne ucciso dalle BR e anche per questa ragione, loro ritenevano di essere fortunati, in quanto liberi di poter esprimere il loro parere e di poter utilizzare la penna a loro piacimento.
Di quella rubrica e anche di quelle tenute su "L'Espresso" e su "Epoca" resta il libro "Il cretino", edizioni Oscar Mondadori, una trilogia che comprende :
"La prevalenza del cretino";
"La manutenzione del sorriso;
"Il ritorno del cretino".
«È stato grazie al progresso che il contenibile "stolto" dell'antichità si è tramutato nel prevalente cretino contemporaneo, personaggio a mortalità bassissima la cui forza è dunque in primo luogo brutalmente numerica; ma una società ch'egli si compiace di chiamare "molto complessa" gli ha aperto infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, a destra come a sinistra.
Sconfiggerlo è ovviamente impossibile. Odiarlo è inutile. Dileggio, sarcasmo, ironia non scalfiscono le sue cotte d'inconsapevolezza, le sue impavide autoassoluzioni (per lui, il cretino è sempre «un altro»).
Il cretino è imperturbabile, la sua forza vincente sta nel fatto di non sapere di essere tale, di non vedersi né mai dubitare di sé.»
Il volume non segue un ordine cronologico ma tenta piuttosto una classificazione per temi usando la bêtise, la stupidità (come prima di loro aveva fatto Flaubert) come metodo di valutazione. A rileggere questi elzeviri, ci si rende conto di come davvero la stupidità sia diventata un problema. Al punto di diventare l'unico metodo di valutazione umana. E come se ad un certo punto la medietà fosse diventata bêtise e quindi senza la (necessaria) stupidità non esistesse l'umanità.
Insomma se non sei stupido non esisti.
Fruttero&Lucentini mai avrebbero immaginato di essere profetici fino a questo punto, come mai avrebbero immaginato che i loro elzeviri si sarebbero trasformati in “amache”, “buongiorno”, per un'esigenza sempre più pressante di frenare questa bêtise che ormai ci permea.
Per tutte queste ragioni sono un long seller, e sono da ristampare anche per capire che la loro attività ha permesso di dare vita a tutti questi filoni e di scrittura narrativa e di scrittura giornalistica, come raramente è accaduto prima di loro e dopo di loro in Italia.
«Immersi come siamo fino al collo in un'«attualità» che è essa stessa trito vecchiume, mediocrità infinitamente ripetitiva, crediamo di poterne uscire col tenerci sempre più «aggiornati», più «al corrente», più al passo con le presunte novità dell'ultimo mese, settimana, giorno, ora, minuto.
Un giornalista che tace o mente è una contraddizione in termini; per il vero giornalista, dire la verità non è affatto una questione di etica professionale, come pomposamente si ripete, bensì un invincibile impulso, una vocazione (di comare o d'angelo) a riferire, annunciare, portare testimonianza fra noi poveretti che non sappiamo niente.»
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