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“C’è ancora domani” quando il cinema incontra i lividi di ognuna di noi

“C’è ancora domani” quando il cinema incontra i lividi di ognuna di noi

Paola Cortellesi è brava, ed è talmente brava da assorbire tutto il mondo che ruota intorno a lei nel film dal titolo “C’è ancora domani”, film di cui è anche regista. Il suo è un film che è un piccolo caso, segna il ritorno nelle sale degli italiani, senza che il film abbia effetti speciali o racconti storie distanti dalla realtà. La storia infatti è ambientata a Roma, in una Roma appena uscita dalla guerra e che ancora non si è liberata della polizia militare americana. «Delia, interpretata dalla stessa Cortellesi, è un’infelicissima casalinga sposata con Ivano, un Valerio Mastandrea meno efficace del solito nel dipingere la figura di un uomo violento, senza un soldo e pieno di risentimento nei confronti della società. Con loro, ammassati in un seminterrato, vivono i tre figli e il padre di Ivano, bloccato a letto e tuttavia prodigo di consigli al figlio sul modo migliore di picchiare la moglie. Delia subisce in silenzio le botte del marito, nasconde come può i lividi, e sembra rassegnata al suo destino. Ma quando capisce che la figlia, Marcella, sta per commettere il suo stesso errore, fidanzandosi con l’uomo sbagliato, trova la forza per reagire» a modo suo, attraverso un atto sì violento ma estremamente efficace, almeno il pericolo che la figlia possa scivolare in un rapporto uomo/donna come il suo è scongiurato, forse per sempre. In pratica la Cortellesi procede a piccoli passi attraverso la storia, il modo migliore per mutare sguardo e cambiare atteggiamento e per dare alla Storia un domani.
Ciò che ci racconta è universale. I rapporti asimmetrici tra gli uomini e le donne negli anni ‘50 sono ancora lì, davanti ai nostri occhi e attendono di essere fluidificati e radicalizzati, perché l'indipendenza femminile, che è indipendenza anche dalla cura e delle fallaci aspettative affettive , è un nervo scoperto e il successo del film lo dimostra, ampiamente.
E così la storia di Delia e del suo romanzo popolare diventa un pretesto per parlare della condizione femminile, condizione fatta di negazioni, di violenze, in pratica di continue sottrazioni di sé, dove la capacità di uscire di casa, per correre altrove, sembrano l'unico modo per stare dentro alla storia e alla vita che si è scelti, ma che cammino facendo si è rivelata sbagliata.
Per raccontare questo la Cortellesi ha fatto di questo film il suo spettacolo teatrale più riuscito, dopo avere cannibalizzato cinema, pubblicità, teatro, musica. Il film risente di tutto questo, e risente anche della sua bellezza che nemmeno il bianco e nero riesce a smorzare, da qui il suo limite, la sua difficoltà di essere ancora di più di quello che è.
E che cos'è? Il ritratto conforme di chi vive ai margini della società e ai margini della sua stessa vita, in maniera piana, al punto da potere essere valido negli anni ‘50 e ancora oggi, perché parla a donne che avendo creduto nell'amore non riescono ad emanciparsi mai completamente, se non attraverso le figlie, ma la Cortellesi è bellissima di suo e quindi non può diventare la Magnani e tutto questo alla lunga sa di finzione, perché le botte, l'incomunicabilità, la cura per dovere, e per soldi, dell'altro non bastano a rendere il degrado umano, in cui si muove la protagonista del film, epico, come a un film sì fatto si richiederebbe, benché ci sia l' escamotage finale.
E allora perché piace così tanto? Perché è didascalico senza essere cervellotico e perché tutta l'ambientazione è italiana al cento per cento e questo rassicura gli spettatori, al punto di sembrare per loro una novità, e poi è emotivo, di quell’emotività che rende il cinema il luogo delle meraviglie, quello che ti prende per mano e ti fa entrare nello schermo in un attimo, come Woody Allen ne “La rosa purpurea del Cairo” ci ha raccontato.
E poi la novità assoluta è “The one woman show”, ovvero lo show della Cortellesi come nemmeno Al Pacino in “Scarface”, un fatto questo sì nuovo e totalmente sconosciuto al cinema italiano, una cosa di una tale potenza espressiva da polverizzare qualsiasi altro interprete della pellicola e che fa di “C'è ancora domani" il film più visto in Italia in queste settimane, vincitore del biglietto d'oro.
Per quanto mi riguarda il mondo che descrive la Cortellesi non faceva in nessun modo parte del mio vissuto e questo a pelle mi rendeva il film costruito e distante, però quella violenza maschile ignorante e anaffettiva l'ho vissuta anch'io e la cosa mi ha atterrita e annichilita, e questo ha emotivamente modificato il mio giudizio e la mia visione del film rendendomi più serena, mentre ascolto ancora Fabio Concato, una delle tracce musicali della pellicola, e penso che potrò anch'io innamorarmi davvero mentre continuo a vivere da donna libera che non sta zitta e non fa la serva a nessuno.

Ti chiedi come facevi
quando scorrazzavi da
una donna all’altra come
un maniaco allo stato brado
con totale menefreghismo.

cosa cercavi di fare
cosa cercavi di recuperare?

ora sai che non eri altro che
un cane che scopava, o una
lumaca attorcigliata a
un ‘altra lumaca.

eri lo scherzo della natura,
non provavi niente ma venivi
messo alla prova.
non un uomo ma un esperimento
da sviluppare, non un predatore
una preda. adesso lo sai.

allora pensavi di essere un vero
diavolo super intelligente
un vero mascalzone
un vero toro
una vera canaglia

sorridente davanti al tuo vino
pianificando la tua mossa successiva
che grande spreco di tempo eri

tu grande chiavatore
tu Attila delle molle del letto
e di quant’altro

avresti potuto dormire
tutto il tempo e non saresti
mai mancato a nessuna

non saresti mai mancato
proprio a nessuna.

Charles Bukowski

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