IL MATTINO
Intervista
01.06.2023 - 16:41
Andrea D'Ambra, enologo ischitano, famoso non solo in Italia, grazie al suo vino e alle sue cantine, è una persona molto schiva malgrado sia un uomo di mondo, molto ben educato. È un solitario ed è profondamente attaccato alla terra, che nel suo caso è un'isola, Ischia, terra che grazie a lui, e a tutto ciò che suo padre e suo zio gli hanno tramandato, trasforma in vino, tanto da essere riuscito a traghettare la storica azienda di famiglia fino alle figlie, figlie che lo seguono e hanno la sua stessa identica passione.
Partiamo da Richard Burton e Liz Taylor è vero che amavano il vino di Casa D'Ambra?
Quando ero giovane abitavamo a Ischia porto, a Palazzo D'Ambra per la precisione, nel palazzo in cui adesso ci sono le biglietterie dei traghetti e degli aliscafi, e Richard Burton e Lizy Taylor stavano girando “Cleopatra” proprio davanti al palazzo. Avevano l'abitudine di venire nel salotto di mia madre e di venire a bere il vino in casa nostra, anche se loro amavano il whisky. All'epoca i camion dell’uva arrivavano fin lì e fin dentro casa. Era difficile non esserne incuriositi, allo stesso modo in cui noi potevamo essere curiosi di loro.
Lei ha conosciuto anche Helmut Berger cosa può ci raccontare?
La sua morte mi ha molto addolorato, come se fosse scomparso un pezzo della mia vita, anche se Helmut è morto con Luchino.
Mia zia Jolanda, detta Coca-Cola, perché la si trovava dappertutto, era grande amica di Luchino Visconti, che per noi era uno di famiglia, ma le racconto in che modo io conobbi Helmut Berger.
Avevo 18 anni ed ero andato a pesca a San Montano. Uscendo dall'acqua mi distesi su uno scoglio per asciugarmi al sole. Lo scoglio era in prossimità de “La Colombaia”, e mentre ero lì vidi arrivare uno stuolo di ragazze con calici per il vino, suaglass, e poi vidi apparire un ragazzone biondo che si stava dirigendo verso di me. A quel punto sentii mia zia Jolanda che diceva: “Helmut, è Andrea, mio nipote".
Helmut Berger era venuto per una vacanza premio a Ischia e niente sapeva di cinema. A Ischia aveva conosciuto Tonino Baiocco e fu Tonino Baiocco a presentarlo a Luchino Visconti. Andò a Roma per parlare con Visconti e chiese ad Helmut di accompagnarlo. Quando Visconti, che era un bel uomo, lo vide disse: “È lui il protagonista dei miei film”. Nacque tutto così.
Luchino Visconti era un uomo dai gusti semplici, veniva a casa nostra a mangiare pane e pomodoro e diceva a mia madre: “Giusi tu prepari il pane e pomodoro più buono al mondo”, ma era zia Jolanda la sua spalla preziosa, per ogni cosa, di lei si fidava ciecamente anche per la sua discrezione, e infatti quando Luchino era a Ischia zia Jolanda non dava retta a nessuno, per lei esisteva solo Luchino.
Visconti rinchiudeva Helmut Berger nella torretta in style Liberty de “La Colombaia”, una cosa che mi hanno raccontato i custodi, lei me lo conferma?
Si, è proprio così Luchino rinchiudeva Helmut nella torretta, soprattutto quando c’era Alain Delon, a cui piacevano le donne, ma che era di indole diversa rispetto a Helmut, era molto più spregiudicato, molto simile ai personaggi che ha interpretato nei film di mala con Jean Gabin.
Suo padre e suo zio Mario sono stati i precursori, Casa D’Ambra è oggi alla quarta generazione, quando inizia la sua storia personale con il vino?
A undici anni, quando mio padre e mio zio Mario mi portarono con loro sull'isola di Santo Stefano, lì è cominciata la mia passione bellissima per la terra e per la caccia. Dopo il liceo classico mi iscrissi ad Agraria a Portici e così diventati enologo. A Santo Stefano ci sono andato per circa trenta anni, mio zio aveva ottenuto il fitto agrario dell’isola, dopo ci sono stato da solo. Dormivo in una cella del carcere borbonico, da eremita, con la sola compagnia dei cani. In Basilicata ho ritrovato l'atmosfera dell’isola di Santo Stefano, ed è lì che oggi vado quando devo ricaricarmi e voglio ricercare un contatto più stretto con me stesso e con la natura.
A Santo Stefano coltivavamo le lenticchie, i conigli, e avevamo un fattore che cucinava benissimo. Quando andavamo a caccia diventava tutto ancora più bello grazie alla sua abilità culinaria. Anche Veronelli, amico di famiglia, che non cacciava, veniva volentieri con noi a Santo Stefano proprio per la cucina.
Poi c’era il chirurgo Goffreda che era un ottimo cuoco, faceva un pollo imbottito eccezionale, da bravo chirurgo lo chiudeva in una maniera tale da fare impazzire Veronelli.
Sono molto soddisfatto di avere nelle mie figlie le mie eredi, sono ragazze straordinarie ed essere arrivato attraverso loro alla quarta generazione mi dà grande serenità.
Cos'è per lei la caccia?
È un grande amore. Il conte Comola Ricci mi insegnò a sparare, e andare a caccia è qualcosa che non ha niente a che vedere con la crudeltà. Le racconto questo episodio anche per farle capire come il rapporto con la caccia, almeno in passato, fosse diverso. Mio zio Mario ogni volta che il professor De Martino veniva a caccia con me mi raccomandava sempre di fargli uccidere due beccacce. Per facilitarlo mi mettevo nella traiettorie di tiro. La beccaccia è velocissima ed è per noi cacciatori l'uccello più desiderato, e allora io mi mettevo sulla traiettoria, a rischio di farmi sparare dal professor De Martino. Ma era talmente la felicità del professore che alla fine andava bene così. Quando fu rapito il figlio Guido, lui stava a tornando da una nostra battuta di caccia e la notizia lo raggiunse a Capo Miseno, purtroppo.
Quando inizia a lavorare come enologo per Casa D'Ambra?
Nel 1983 quando l'azienda andava maluccio, allora mi allontanai dall'azienda e mi misi a fare uno spumante a modo mio, ne feci poche bottiglie che vendetti a un prezzo altissimo. Mio padre nel frattempo era andato a fare il ricercatore, e nel 1995 mio zio mi chiamò come enologo. In maniera timida e paurosa ma anche superba perché ero superbo, mi inventati un metodo particolare: pulire il mosto prima della fermentazione per poi di raffreddarlo. Capii che qualcosa era cambiato quando il nostro cantiniere mi venne incontro quasi intimorito e disse: “Sei stato qui stanotte? Sento un aroma di the e di banana nell'aria”. Fu il primo lotto di “Frassitelli”, grazie a un discorso che mi aveva fatto proprio Veronelli.
Il cambio di vinificazione coincise con la nascita del vino, un vino che ho creato io.
A mio zio feci trovare il vino con un bigliettino con su scritto: “Costi di produzione” e lui mi disse: “Sei giovane e come tutti i giovani sei pazzo”.
Dopo un mese mio zio mi chiese altro vino, gli risposi che l’avremmo fatto l'anno successivo e così siamo arrivati a mezzo milione di bottiglie.
Una volta traghettata l'azienda cosa è accaduto?
La maggiore serenità ambientale, una condizione in cui tutto è possibile, mi ha fatto dedicare al recupero del paesaggio, che nel nostro caso vuol dire avere recuperato venti ettari di vigneti, dando la possibilità anche ai giovani di potere trovare lavoro attraverso l'agricoltura frammentata. A Ischia c’è una gioventù bellissima ma quando si vive in un luogo così bello è tutto bello.
Come lo vede il futuro di Ischia?
Il cambio di economia dell’isola, la svendita delle terme a favore della costruzione delle stanze, ha sconvolto completamente la fisionomia del luogo e anche degli abitanti.
Sono a favore dell'amministrazione unica, invece di sei comuni distinti e separati, e sono a favore dei piani programmatici, per dare e per ricevere qualità, non si può esagerare con i prezzi quando si dà poco.
Prendiamo il caso della frana di Casamicciola, in questo caso la comunicazione è stata pessima. Tutti hanno pensato che fosse franata l'intera isola, e oggi ne paghiamo le conseguenze. Dai 400 metri in su la montagna è ancora bellissima ci sono piccole oasi, percorsi antichi, come quello dell’Allume. Ischia è stata la prima colonia greca nel mar Tirreno, qui un turismo di qualità è ancora possibile anche grazie al vino.
E per sé cosa desidera ancora?
Innanzitutto mi piacerebbe mettere ordine nell’epistolario dell'azienda.
Ci sono lettere dei De Filippo, di Domenico Rea, di Veronelli, tanto per citarne alcuni, la particolarità di questo epistolario è il suo essere uno slow food ante litteram, tutto ad opera di mio zio Mario che inviava ai nostri amici/ clienti non solo vino ma anche altri prodotti del territorio come i piennoli di pomodori, insieme a delle lettere che poi venivano ricambiate. E poi mio zio Mario, in prossimità delle festività, affittava il furgoncino di Scaturchio e recapitava, personalmente, i regali a chi tra i nostri amici/clienti viveva a Napoli.
Era abilissimo e sembrava che tutto arrivasse a lui con facilità, ecco in virtù di questo vorrei che il bello di cui il mondo è pieno arrivasse a me, come accadeva a mio zio Mario.
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