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Personaggi/2 (fine)

Biografia Josif Brodskij, Il fotografo dell'anima. «Se l’arte insegna qualcosa è proprio la dimensione privata della condizione umana»

Biografia Josif Brodskij, Il fotografo dell'anima. «Se l’arte insegna qualcosa è proprio la dimensione privata della condizione umana»

Josif Brodskij

«Se l’arte insegna qualcosa - in primo luogo all’artista stesso - è proprio la dimensione privata della condizione umana».
Questo, insieme all’analisi della condizione dell’esilio e del ruolo della cultura, sono i punti cardine attraverso cui si sviluppano i tre discorsi pronunciati da Josif Brodskij nel 1987, a distanza di pochi mesi l'uno dall'altro, e raccolti in questo piccolo libro che è “Dall'Esilio”.
Il primo è un discorso pronunciato a Vienna alla Wheatland Foundation per una conferenza sugli esuli; il secondo è il discorso pronunciato a Stoccolma in occasione del conferimento del Premio Nobel; il terzo è il discorso di accettazione che i vincitori del premio Nobel tengono durante un pranzo nella sede del municipio di Stoccolma.
Ancora una volta Brodskij rivendica la sua diversità di uomo e di poeta, perché è la diversità la materia prima della Letteratura.
La Letteratura come maestra di vita, l’oggi, il domani di ogni uomo, ma ciò che la rende necessaria è la sua capacità di non ripetersi, l’impossibilità di aderire ad un cliché.
«Un’arma senza rinculo», così definisce la Letteratura Brodskij, la cui evoluzione è determinata dal materiale umano a disposizione, non dall’individualità del poeta, poeta che è solo un semplice esecutore. In questo modo il libro diventa un mezzo di trasporto necessario «attraverso lo spazio dell’esperienza, alla velocità della pagina voltata». Questo fa sì che il rapporto con i libri sia un rapporto privilegiato e privato, l’unico rapporto veramente privato, perché ogni volta che qualcuno apre un libro e lo sfoglia, in quel preciso istante si compie un miracolo e il poeta che quel libro ha scritto, finalmente, entra in contatto con l'altro da sé. Per questa ragione scrivere, e leggere, portano a vivere in maniera accelerata e «quando si è provata una volta quest’accelerazione non si è più capaci di rinunciare all’avventura di ripetere quest’esperienza» tanto da cadere in uno stato di dipendenza, di assuefazione.
Se si comprenderà questo un numero maggiore di persone leggerà, anche poesie, e si farà sconfiggere meno facilmente dalla vita ma soprattutto riuscirà ad accettarla la sconfitta perché « un uomo libero quando è sconfitto non dà la colpa a nessuno».
Brodskij, durante la sua ultima visita in Italia nell’ottobre del 1995, fece un elenco di poesie, scritte tra il 1972 e il 1995, poesie che descrivevano non solo l’Italia e le città italiane, ma anche le isole, per riaffermare con forza il legame con un paese che più di ogni altro, attraverso le sue opere e le sue vestigia, gli restituivano il ritmo del tempo.
Accanto a Venezia e Roma, appare Ischia e l’autunno, il silenzio, la natura che nonostante l’abusivismo riesce a riaffermare la propria potente impronta, «l’esigua terra (che) si vendica dello spazio con il verde», il mare, i tramonti dolenti, le spiagge antiche. Come la spiaggia di Citara, che riporta a Venere e al suo culto, alle ancelle che per lei raccoglievano l’acqua termale, quelle terme che a Citara hanno uno sbocco in mare, da quando il mare ha sommerso il tempio e il vulcano è ormai prigioniero delle acque. Un mare che nonostante il frastuono e la distrazione dei turisti occasionali riesce a restituire immagini e suggestioni del passato, in un’isola che sembra ritrarsi anche quando è invasa, e che continua ad esercitare il suo fascino in chi riesce a sentire l’eco della sua storia.
E poi ci sono gli abitanti di Ischia, abitanti dalla lingua gutturale e dai lineamenti induriti, tanto da fargli dire che «il linguaggio, a guisa di lente, separa il paesaggio dai volti».
E ancora i venti, su tutti lo scirocco, che Brodskij definisce “una variante del fato” un vento, lo scirocco, che batte l’isola da una parte precisa, e mentre mette in versi questo, Brodskij lascia una traccia della sua collocazione sulla terra ferma, e questa coordinata geografica è l'unica concessione che lui fa ad una scienza esatta, l'unica scienza, la geografia, sempre presente nei suoi scritti.
A seguire Il ricordo di Auden anche lui frequentatore dell’isola, e grazie a Brodskij sembra di vederlo lì, mentre beve il vino, al “Bar Internazionale” di Forio. Quel vino prodotto da un vitigno portato dai coloni greci, famoso al punto che Ischia fu nominata dai romani "Aenaria" (terra del vino).
Ancora una volta tornano tra le sue pagine l’acqua e la terra, acqua e terra che a Ischia sembrano convivere anche se in maniera dura, aspra, smorzate come sono dal vento e dal ricordo, a differenza di Venezia.
L’amore per Austen, Frost, Achmatova, Cvetaeva (l’unica con cui avesse deciso di non competere per il suo tono tragico inarrivabile), la capacità di rimettersi in discussione, attraverso le parole e la loro plasticità, rendono la sua attività un’opera d’arte pienamente compiuta. La possibilità di scrivere in russo, poesie, e in inglese, saggi (anche se scrisse in inglese un’elegia dal titolo Lowell per rendere omaggio alla memoria del poeta) e di mantenere intatta, anche nella traduzione italiana, il sottile estetismo della sua mente, lo rendono ineguagliabile. È la sua una parola modulare, parola modulare necessaria per lenire il dolore di quella lontananza che l’esilio aveva tracciato in maniera definitiva, come se le due lingue che usava, il russo e l'inglese, non facessero altro che intersecarsi e comprendersi al punto di fondersi dando una forza propulsiva alle parole.
Perché Brodskij era un uomo che riconosceva come unica divinità la lingua, tutto il resto, corpo compreso, non era altro che una trappola, capace di una fissità innaturale e come tale una corazza per la parola, parola che in lui risuonava come un’onda.
Morto il 28 gennaio del 1996 a Brooklyn ha trovato finalmente riposo a Venezia.

(fine)

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