Cerca

Cultura

Stroncature: "Cristo si è fermato a Eboli" di Carlo Levi

Stroncature: "Cristo si è fermato a Eboli" di Carlo Levi

Carlo Levi

Scrive Camillo Langone su “Il Foglio” di qualche giorno fa: “Ho riletto dopo tantissimo tempo […]Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Ho cominciato a rileggerlo mosso dalla nostalgia della patria lucana, ammetto la debolezza sentimentale. Ma ho continuato a farlo, con crescente entusiasmo, sospinto da fattori oggettivi, universali: l’olimpica qualità letteraria, la statura umana dell'autore (intelligente giammai saccente), impressionante attualità. La vera letteratura non ha scadenza”.
Sarà davvero così o il più famoso libro di Carlo Levi è uno spot fenomenale per porre le basi, di cemento armato, alla nascita del "mondo nuovo", quello del dopoguerra, "mondo nuovo" che da allora in poi vede il Sud sempre e solo come un luogo arcaico, e per questo distante e inaccessibile?
Vediamo un po'.
“Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia […] Ma chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato rimandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte.”
Questo è l’incipit di “Cristo si è fermato a Eboli” e in questo incipit è racchiuso tutto il senso del libro.
In pratica potrebbe bastare solo l'incipit per non andare oltre, visto che la tesi in esso racchiusa è, a mano a mano, ampliata con la costruzione di un romanzo, molto basico, e da questa sentenza, l'incipit è una sentenza in questo caso, non si discosta di un millimetro.
E poi sempre nell’incipit si parla di una stanza chiusa, stanza chiusa che fa da specchietto/richiamo al mondo chiuso, quello lucano, anche se non c’entra niente.
Di quale stanza chiusa si tratta allora? Si tratta della stanza in cui visse, nascosto, l'autore a Firenze, dal 1941 al 1945, nell’appartamento di Anna Maria Ichino, in piazza Pitti.
Questo passaggio, mai approfondito, se non da Giorgio Bassani, ci permette di interpretare il Cristo diversamente, e con esso anche la storia d’Italia.
A Firenze, Carlo Levi incontra tra i tanti perseguitati dal fascismo, in qualità di membro del Comitato toscano per la liberazione, proprio Giorgio Bassani, in fuga da Ferrara, e diventa il suo “procacciatore” di farina e di olio.
Questo rapporto quotidiano e privatissimo permetterà ai due di avere una consuetudine umana, al punto che Giorgio Bassani fu l’unico a stroncare il Cristo, già nel 1950, in virtù proprio del rapporto, non ipocrita, che c'era tra lui e Levi.
La stroncatura fu pubblicata su la rivista “Paragone: mensile di arte figurativa e di letteratura”, rivista dove Giorgio Bassani scriveva.
Cosa imputava Giorgio Bassani a Carlo Levi?
Giorgio Bassani riteneva che il peccato più grande dello scrittore piemontese fosse il suo essere indeterminato, tanto da ritenerlo incapace di una rielaborazione analitica della sua vita e dei contesti in cui si trovava ad operare, uno "scapocchione" in pratica.
Eppure il Cristo era stato definito un libro documentaristico, sia Rocco Scotellaro, sia Alberto Asor Rosa in “Scrittori e popolo”, tra i tanti, lo interpretarono in questo modo, ma Giorgio Bassani non era dello stesso avviso.
In quel libro non si parla della Lucania, ci dice Giorgio Bassani, a Carlo Levi non interessa oggettivare la realtà, né descrivere realmente la Lucania e chi la abita, gli interessa parlare di sé, e della sua lotta con lo Stato, Stato che rende tutti incapaci e bisognosi di perdersi in un mondo primordiale ed indeterminato, che incidentalmente, e come pretesto narrativo, è quello dei contadini lucani.
Il Cristo è quindi un libro sulla crisi degli intellettuali, non certo “la guerra dei mondi”, come dalla sua pubblicazione in poi ci è stato raccontato.
Per questa “doppiezza” interpretativa il libro ha continuato a creare proseliti, e a determinare un impoverimento culturale, impoverimento culturale a cui Carlo Levi mai aveva pensato, ma che Giorgio Bassani aveva risolto, al punto da potergli dire a Matera nel ’66, nell’ambito di un Convegno su i Sassi, che la narrazione di una realtà, tutt’altro che depressa, aveva irrimediabilmente creato un danno ad un patrimonio culturale ed umano, semplicemente perché, invece di osservare la realtà, con coraggio e consapevolezza, gli intellettuali avevano preferito autorappresentarsi, a tutto danno della Storia, degli uomini, di Cristo e di Eboli, che non c’entra niente con le fantasie dell'autore.
Cosa resta di quel libro? Niente, almeno in Basilicata, regione che ha conosciuto un importante processo di industrializzazione, con conseguenti problemi ambientali, e che si dibatte con gli stessi problemi economici e sociali di qualsiasi parte del globo, mentre cerca di porre rimedio agli immani danni causati dal "levismo", e da una visione del mondo troppo tranchant e troppo piccolo borghese.
Eboli da parte sua, e da allora, ha perso molto del suo smalto, e della sua differenziazione culturale e sociale, proprio perché il Cristo di Levi l’ha fatta diventare un non luogo, ignorandone il senso e l'utilità, e invece Eboli faceva da cerniera tra Campania e Basilicata riuscendo ad avere una sua solida identità.
Tutto questo insegna che: leggere i libri, e scriverne, cambia il modo di guardare il mondo, e che a niente vale rilanciarli acriticamente, fosse anche solo per un fatto di affezione come ha fatto Camillo Langone, per quanto oggi ci siano libri più “leggeri”, e serie Tv, anche sulla Basilicata, che dimostrano come l’animo umano non differisca cambiando latitudine e longitudine, e che nemmeno la Bibbia è bene prendere alla lettera, figuriamoci un romanzo scritto per la necessità dell’autore di sentirsi parte della Storia, quella Storia che lui ha raccontato a suo modo, e cioè da estraneo più che da osservatore appassionato.
Eppure fa impressione come il titolo di un romanzo, più che il suo contenuto, abbia condizionato la narrazione della realtà, tanto da trasformare una regione, la Basilicata, e un paese, Eboli, in luoghi lontani dalla Storia, e senza una storia da raccontare, perché se la storia da raccontare è la presenza del realismo magico, nel quotidiano, come disvalore, a Gabriel Garcia Marquez è andata meglio, un esempio tra i tanti, ha vinto il Nobel proprio grazie al realismo magico, e di certo la Colombia non è Eboli né la Basilicata.
Ps: su questo libro che mi è stato regalato a nove anni, e che ho letto allora, rifletto da una vita, e mi verrebbe voglia di riscriverlo di sana pianta per quanto mi "perseguita" e mi urta. è vero che chi scrive deve dare un' interpretazione altra della realtà, ma fino a che punto si può barare con se stessi, e con il mondo che ci circonda, per diventare famosi, e sentirsi uguali ai famosi che si frequenta, come fece Carlo Levi?

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione