IL MATTINO
Basilicata terra di cinema
31.01.2022 - 17:30
“Parliamoci chiaro: il pesce si rompe il cazzo perché è circondato tutto il giorno dal silenzio. Per questo quando sente l’esca è attratto irrimediabilmente dal suo carnefice”.
Se si dovesse riassumere il significato del film “La notte più lunga dell’anno” di Simone Aleandri (prodotto da Clipper Media con Rai Cinema e il sostegno di Bcc Basilicata, ndr) in una frase, questa, pronunciata dall’anziano e malato padre di Luce (Alessandro Haber), sarebbe un giusto compendio.
La vita del pesce è la metafora dell’esistenza dei quattro protagonisti del film, che vivono in una città, Potenza, dove spesso la sera con il buio cala anche il silenzio, quello privo di stimoli che è interrotto soltanto dalla televisione, perennemente accesa nelle abitazioni i cui interni vengono mostrati. Ma per i protagonisti delle quattro storie le esche saranno ben più invitanti e li porteranno ad uscire dall’ovattato confort domestico. Ed ecco che la trama inizia a dipanarsi. I protagonisti sono tutti degli inetti che non stanno davvero vivendo, ma solo esistendo, per dirla con Seneca (non diu vixit, sed diu fuit), e si renderanno conto di come il tempo sia trascorso senza aver davvero vissuto, senza aver davvero realizzato ancora nulla nella propria vita. Per qualcuno dei protagonisti, però, c’è speranza, perché toccato il fondo forse (il film non lo rivela) cambieranno vita. Ed ecco tre ragazzi di 25 anni che cercano di divertirsi fumando e rimediando una macabra gita in un carro funebre, ecco una donna, non più giovane, che continua a lavorare come cubista in una discoteca messa male a causa dei debiti, ecco un giovane ragazzo che raggiunge nottetempo la sua insegnante delle superiori con la quale ha una relazione adulterina e, infine, un politico corrotto che cerca disperatamente di evitare l’annunciato arresto che avverrà all’alba. Il film inizia con il sibilo delle pale eoliche, unico rumore nella notte, oltre a quello delle automobili, udito da Sergio (Mimmo Mignemi), il proprietario di una pompa di benzina H24, che accoglierà, nella notte del 21 dicembre, che è effettivamente la più lunga dell’anno, i quattro protagonisti, offrendo loro conforto e riparo. Durante la notte tutti i personaggi saranno messi alla prova: alcuni rimarranno schiacciati dall’indolenza di una vita che non hanno la forza di cambiare, mentre altri, sull’orlo del precipizio, riusciranno a trovare la forza di ribellarsi al degrado morale nel quale stanno cadendo. È il caso di Luce (Ambra Angioini) che guardandosi allo specchio prima dell’ennesima serata vede un’immagine grottesca di sé, costretta in età matura a dipingersi i capelli e le unghia di blu e a ballare per una platea di ragazzini che hanno la metà dei suoi anni. Luce decide che quella sarà l’ultima volta, ma poi il gestore del locale, perseguitato dagli usurai, le chiede l’estremo favore di concedersi ad uno di essi che impazzisce per lei. Luce accetta, ma poi, di fronte alle avances di costui decide finalmente di urlare il suo no. A ribellarsi sarà anche Jhonny (Luigi Fedele), il quale toccherà il fondo nel momento in cui il marito (Antonio Petrocelli) della sua insegnante Isabella (Anna Ammirati) tornerà in anticipo senza avvisare costringendolo ad una umiliante fuga dal balcone mezzo nudo. Sarà solo allora che il ragazzo capirà che la relazione è finita e, seppur tra le lacrime, troverà il modo di vendicarsi e al contempo palesarsi ad un marito che, però, è totalmente anaffettivo e indifferente. Ultimo a ribellarsi sarà anche Damiano (Francesco di Napoli), il quale durante il raccapricciante tragitto nel carro funebre, in preda ad un attacco di panico, comprenderà l’inutilità della vita che sta vivendo e lo spreco del tempo che sta portando avanti “non studiamo, non lavoriamo, ci divertiamo come quando avevamo 15 anni” ed ecco che avrà il coraggio di dividersi dagli amici, iniziando forse a riprendere in mano la propria esistenza. Infine abbiamo Francesco (Massimo Popolizio), politico corrotto che, dopo aver cercato invano riparo dal patronus terreno (una più o meno velata allusione a Colombo?), si rifugerà dal Patronus celeste, pentendosi, forse, o mettendo in campo l’ennesima strategia di abile politico. A far da sfondo, però, c’è la quinta protagonista del film, la città di Potenza che, spesso ripresa dall’alto mostra un’unica grande strada che si attorciglia su se stessa, che fa udire il proprio silenzio e le proprie difficoltà, comuni forse a quelle di tante altre città. Una città dove, a causa del buio, tutte le cose hanno un unico colore e il freddo la fa da padrone. Una città in cui le esche attirano facilmente i pesci annoiati, che non hanno trovato un proprio posto nel mondo e che rischiano di ritrovarsi invecchiati senza aver vissuto. Sarà questa l’amara constatazione di Sergio, il benzinaio, che mestamente dirà a Luce di aver solo visto passare la vita tramite le storie degli altri, ma che in fondo ha trovato il proprio posto nel mondo aiutando gli altri. E alla fine sarà suo il fischio di richiamo del cane Nerone, che vanamente si confonderà a quello altrettanto vano delle pale eoliche. Un film forse spietatamente realistico e malinconico, ma che induce a riflettere sul senso del tempo e della vita, sicuramente condizionata dal luogo in cui si nasce e vive, ma che può sempre cambiare, ripartendo da quella stessa strada.
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