IL MATTINO
La salute dei piccini
12.02.2021 - 20:08
L’altra sera sono stata intervistata in qualità di esperta in psico-oncologia pediatrica e sono sorte delle riflessioni, secondo me, interessanti. Una di queste riguarda la fase terminale della malattia oncologica e se è giusto comunicare al bambino quanto sta succedendo. Sorrido sempre quando mi viene chiesto se è opportuno comunicare qualcosa al bambino, in generale, perché rifletto su quanto noi adulti sottovalutiamo la capacità che i bambini hanno di comprendere ciò che gli sta intorno. Quando noi ci chiediamo cosa dire, in che modo dirlo o quando noi pensiamo a come addolcire la pillola costruendo castelli di sabbia, il bambino è già due passi avanti ai nostri interrogativi e alle nostre preoccupazioni. Forse non ha capito di cosa si tratta esattamente ma ha capito che è qualcosa che ci turba, che ci preoccupa. Ecco, allora, un suggerimento che sento di dare a chi oggi sta leggendo e che non riguarda solo l’ambito dell’oncologia pediatrica: i bambini non sono interessati alle parole o al momento giusto che scegliamo. I bambini sono interessati alle emozioni che circolano, che percepiscono; sono interessati a quanto sentono emotivamente vicino la persona che hanno di fronte o accanto. Naturalmente, chi comunica dovrà prestare attenzione alla modalità in cui lo fa, che non deve essere giusta in sé ma appropriata al livello di sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino ed è pertanto altamente soggettiva. Questo non tanto per proteggerlo da una realtà che fa paura prima di tutto a noi stessi ma affinché lui comprenda con esattezza quello che gli stiamo dicendo. A questo proposito, ricordo che il verbo comunicare, nel suo senso etimologico, ha in sé l’idea del mettere in comune, del condividere e quindi ha in sé la necessità di accertarsi che il nostro interlocutore capisca quello che stiamo dicendo, altrimenti significherebbe parlare da soli. Perciò, comunicare con il bambino significa prima di tutto utilizzare un linguaggio per lui chiaro e non c’è un modo giusto in assoluto e valido per tutti i bambini ma ci sono molti modi che differiscono di bambino in bambino. I genitori, in fase terminale, sono spaventati e addolorati per la morte che presto avverrà e comprensibilmente preoccupati per il modo in cui relazionarsi con il figlio. Anche in questo caso, però, il bambino percepisce il contesto intorno. Pensate che alcuni iniziano a sollevare interrogativi su dove andranno, oppure incitano i genitori ad avere un altro figlio per non restare da soli o, al contrario, chiedono di non farlo perché temono di essere dimenticati; altri ancora, non si rappresentano più quando disegnano la famiglia. È un momento molto delicato per tutti ed è importante che il bambino senta attorno a sé tutto il calore e la connessione possibili. Questo non può succedere se non diciamo la verità perché i “non detti” e le bugie allontanano, creano distanze. In ogni contesto, non solo in quello oncologico, è la verità che ci unisce e ci connetto all’altro. L’autenticità.
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