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«Stavolta non ce la faccio», Di Battista ha smesso di essere pentastellato. La fine di una grande storia d’amore

Il «sì» al governo Draghi è la goccia che ha fatto traboccare il vaso

«Stavolta non ce la faccio», Di Battista ha smesso di essere pentastellato. La fine di una grande storia d’amore

Dopo mesi di malessere manifestato in più occasioni colui che agli albori del Movimento 5 stelle era considerato una bandiera, “è uscito dal gruppo”, per citare Enrico Brizzi (“Jack Frusciante è uscito dal gruppo”).
Lo ha fatto in diretta Facebook, la piazza virtuale ormai scelta dai personaggi pubblici per fare annunci, proprio nel giorno in cui il popolo giallo è stato chiamato a esprimersi sull’appoggio a un possibile governo Draghi. Il nome di Alessandro Di Battista si va ad aggiungere a una lista non così breve di esponenti e fedeli che hanno abbandonato il Movimento. Solo due mesi fa, a dicembre ben 47 parlamentari erano usciti dal Movimento. L’ultimo in ordine di tempo è stato, a inizio febbraio, Emilio Carelli, che si era detto deluso dall’atteggiamento avuto rispetto alla crisi di governo innescata da Renzi.
Tornando all’ultimo dei grillini, cosa ha spinto Di Battista a compiere una scelta così estrema? Cosa c’è dietro quel “stavolta non ce la faccio”?
Prima ancora che Draghi fosse chiamato al Colle, Di Battista sosteneva di aver annusato nell’aria tale possibilità e aveva iniziato a esprimere il suo dissenso in totale trasparenza sui suoi canali social. Il 6 febbraio chiosava: “Io non potrò mai avallare un'accozzaglia al governo che potrebbe andare da Leu alla Lega”. Un’opinione condivisibile, specie se si pensa al M5s degli inizi, anti-establishment e contro la casta politica “attaccata alla poltrona”.
Cosa ne è stato dei valori in cui credeva il movimento nato nel 2009 sotto l’egida di Casaleggio e Grillo?
Proprio Davide Casaleggio, il figlio del fondatore del Movimento teme che l’allontanamento di Di Battista possa segnare una frattura irreparabile tra i pentastellati, un tempo uniti da valori condivisi saldamente, oggi favorevoli (quasi il 60% dei votanti sulla piattaforma Rousseau) a un esecutivo guidato da Mario Draghi, che per molto tempo ha incarnato agli occhi dei 5s l’emblema del liberismo più ortodosso. In un articolo firmato da Di Battista di qualche giorno fa, si legge, riferito al professor Draghi: “C’è il rischio che si convinca anche lui di avere proprietà taumaturgiche o di essere capace di moltiplicare pani e pesci. Ed allora è bene ricordare, anche a rischio di apparire sacrileghi, che, ad oggi, la sola cosa che il Professor Draghi ha effettivamente moltiplicato, sono i titoli derivati italiani. Fu sotto la sua direzione del Tesoro che vennero sottoscritti contratti su contratti sui derivati, molti dei quali sono risultati tossici.”
Dunque una presidenza del Consiglio Draghi sarebbe stato I’ennesimo dei bocconi amari che avrebbe dovuto mandare giù Alessandro Di Battista. Sono stati tanti, dal governo giallo-verde, a quello giallo-rosso, passando per le promesse non mantenute, a quelle tradite.
La scelta di Di Battista è stata una scelta coerente, la scelta di un politico che per molto tempo ha cercato di restare ancorato ai suoi ideali un tempo perfettamente coincidenti con quelli del M5s, gli stessi che otto anni fa avevano dato vita a un movimento, non un partito (ndr).
Giornalista, cameriere, cooperante e attivista , Di Battista differentemente dai suoi ex colleghi ha saputo farsi da parte. Non si dimentichi, infatti, che l’ex grillino già in passato aveva espresso il suo endorsment nei confronti di Gianluigi Paragone, il grande espulso dei 5 stelle.
Nelle sue parole nessun rancore, né recriminazioni, ma rispetto nei confronti degli elettori, degli attivisti che hanno votato su Rousseau in maniera autonoma il loro appoggio a un possibile governo Draghi, definiti raziocinanti e liberi, in quanto non influenzati da giudizi esterni. Gratitudine nei confronti di Beppe Grillo, una bella storia d’amore giunta ormai al termine, questo è il sogno deluso di Di Battista. Non chiude definitivamente la porta ai suoi “ex colleghi”, lasciando un possibile spiraglio per il futuro, dettato unicamente da convergenze di ideali politici e non da accordi per futuri eventuali incarichi.
Tornando al quesito iniziale, ovvero, cosa si possa celare dietro le parole di Di Battista, probabilmente la risposta è un senso di impotenza, nel realizzare di non poter più fare nulla per cambiare le cose e dall’altra un voler abbandonare la nave prima che affondi. E il rischio c’è, specie per quello che Di Battista ha definito come un “assembramento parlamentare pericoloso” che vedrebbe seduti l’uno accanto all’altro per sostenere un governo Draghi Pd, M5s, FI e Lega.

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