IL MATTINO
L'intervista
15.09.2020 - 19:12
Si sono tenuti oggi i funerali di Maria Paola Gaglione, morta per una caduta dal motorino mentre lo scooter su cui viaggiava col fidanzato Ciro Migliore veniva inseguito dal fratello di lei, Michele. Sembra che alla base dell’inseguimento da parte del fratello della giovane ci fossero dei motivi legati alle sue scelte di vita, ossia una relazione con un transgender. I fatti, avvenuti nelle periferie di Napoli, precisamente a Caivano, hanno colpito e scosso l’opinione pubblica, riportando alla ribalta l’urgenza dell’approvazione della proposta di legge Zan, che prevede "Modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del Codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere". In altri termini, con l’accettazione di questa proposta, si punirà con il carcere chi commette violenza o incita a commettere violenza nei confronti di un’altra persona, sulla base dell’orientamento sessuale.
Nella giornata di ieri, 14 settembre, durante la riunione del Consiglio comunale di Potenza, riprendendo il discorso relativo all’approvazione del Ddl Zan-Scalfarotto, è stato espresso parere negativo. Una decisione certamente dura alla luce dei fatti appena accaduti, aggravata dalle affermazioni del consigliere di Fratelli d'Italia Michele Napoli, il quale ha affermato: «Diciamocelo con chiarezza, così usciamo dagli equivoci: l’omosessualità è contro natura perché contraddice la legge naturale della vita, il diritto naturale, che è un diritto sacrosanto, la differenza tra sessi e la riproduzione della specie». A queste affermazioni sono seguite delle scuse del consigliere per aver usato delle «espressioni assolutamente infelici».
Abbandonando per un attimo le affermazioni del consigliere comunale e il dibattito socio-politico che ne è derivato, è necessario chiedersi quale sia il livello di tolleranza in Italia, ma più nello specifico in Basilicata e nelle nostre province. Un fatto come quello accaduto a Caivano fa riflettere su quanto sia radicata l’omotransfobia tra i cittadini lucani e quanto lo sia, soprattutto, tra i più giovani, coetanei di Maria Paola. È possibile vivere liberamente la propria sessualità in Basilicata? È possibile accettare l’omosessualità di un compagno di classe senza doverlo necessariamente etichettare o renderlo vittima di bullismo? La professoressa Antonella Marinelli, responsabile per la scuola dell’Istituto Internazionale Jacques Maritain e della creazione di progetti sulla difesa dei diritti umani, la tolleranza, l’apertura all’altro, ci aiuterà a capire come si viva la “diversità” tra i banchi di scuola delle nostre province e cosa si possa realmente fare per evitare che l’omofobia diventi la normalità.
Come viene percepita l’omosessualità tra i giovani? Le è mai capitato di affrontare la questione della omofobia con i suoi alunni?
«Certo. Sono più di dieci anni che insegno ed è capitato spesso che si affrontasse l’argomento. Purtroppo, nelle nostre realtà l’omofobia è una condizione ancora molto radicata. Ma la colpa non è dei ragazzi. Spesso, il “diverso” non esiste neanche fisicamente, nel senso che molte volte non si ha neppure l’occasione di venire a contatto con realtà diverse dalle nostre. Si tratta di un problema di percezione sociale, a volte aggravato dai media. La situazione è molto complessa: l’omofobia è talmente radicata che non riguarda solo chi non è “strutturato” a livello culturale, ma agisce in maniera molto trasversale. C’è molto da lavorare per superare questa subcultura. In questi anni, a volte ho avuto la sensazione che alcuni dei miei studenti non potessero vivere la propria sessualità liberamente, alla luce del giorno. Credo, addirittura, che spesso il fatto di dover reprimere il proprio orientamento sessuale abbia portato a un vero disagio psicologico. C’è anche da dire che ci sono dei ragazzi che hanno insito in loro il concetto di “varietà” e sono più aperti alla possibilità che esistano diversi orientamenti sessuali. Ma nella maggior parte dei casi, i ragazzi non sono educati sessualmente e si ritrovano a essere spietati e ingenui al contempo, bullizzando il compagno senza rendersi conto di infierire in maniera atroce su di essi. Purtroppo, sono vittime di retaggi culturali che spesso rendono impossibile anche esprimere liberamente una confusione relativa all’orientamento sessuale tipica di questa età».
Quali sono le possibili soluzioni per evitare il dilagare dell’omotransfobia?
«Da anni collaboro con l’Istituto Internazionale Jacques Maritain, un’associazione culturale senza fini di lucro, che promuove la tolleranza e dell’apertura all’altro. È importante costruire una rete di scuole che lavori sulla alfabetizzazione emotiva, introducendola nei programmi scolastici a inizio anno. Adesso, può essere inserita anche nelle trenta ore annuali di educazione civica, divisa tra competenze digitali, educazione alla cittadinanza e sostenibilità. Quindi, credo che ci si possa anche agganciare ad essa per strutturare degli interventi mirati, coinvolgendo anche le famiglie. Credo fermamente che i tre soggetti fondamentali nel percorso educativo dei ragazzi siano proprio la famiglia, lo Stato e la scuola. I primi due, spesso, per motivi diversi, risultano assenti nella formazione dei giovani, mentre, a parer mio, l’insegnamento e la scuola non possono prescindere da questa funzione. Per questo motivo, appena ho conosciuto l’Istituto Internazionale Jacques Maritain, con cui condivido questi ideali, ho colto la palla al balzo per costruire un percorso in questa direzione. Ad esempio, quest’anno, a partire da dicembre, inizieremo un’attività capillare nelle scuole e nei borghi lucani per diffondere la cultura della tolleranza».
Qual è la reazione dei dirigenti scolastici di fronte a queste proposte?
«La dirigente dell’istituto in cui insegno, a Villa d’Agri, è sempre stata aperta all’ascolto, alla partecipazione e alla condivisione e credo che sarà così anche per la dirigente entrante. Spesso abbiamo riscontrato delle resistenze tra alcuni dirigenti, ma di carattere prettamente organizzativo».
Una cultura, quella della tolleranza, che merita di essere approfondita e studiata già nei primi anni di vita, quelli fondamentali per la formazione della propria personalità e del cittadino del futuro. Un modo per combattere la violenza che spesso scaturisce dalla non comprensione dell’altro, dalla visione del “diverso” come un nemico. Ma poi, diverso da chi?
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