IL MATTINO
Salute
24.06.2020 - 20:06
Rocco Maglietta
Il Don Uva è un presidio sanitario strategico per tutto il Mezzogiorno. Oltre alla riabilitazione ospedaliera e post traumatica, vengono erogati servizi di RSA. L'ISS ha recentemente pubblicato l'indagine epidemiologica sul contagio nelle RSA, alcune strutture sono state particolarmente interessate sia per numero di contagi, sia per numero di decessi.
Approfondiamo la situazione con il direttore sanitario dottor Rocco Maglietta.
In uno scenario complesso e sicuramente territorialmente diverso il Don Uva rappresenta una sorta di unicum a livello nazionale?
«Il Don Uva non ha avuto alcun problema, ogni organizzazione bisogna inserirla in un preciso territorio. In Basilicata l'impatto del Covid-19 è stato modesto, ma sin dal primo momento abbiamo posto in essere tutte le misure idonee per proteggere i nostri pazienti. Dalla fine di febbraio abbiamo concesso gli ingressi esterni solo su autorizzazione del medico di reparto, è stata una decisione sofferta ed inizialmente non accettata dai parenti dei degenti. Dal 4 marzo abbiamo chiuso completamente
la struttura. La solitudine non facilita la terapia dei nostri pazienti e perciò abbiamo deciso di potenziare le attività interne per alleviare quel senso di abbandono che prova un soggetto anziano che improvvisamente non riceve più visite dai suoi cari. La presenza dei familiari è molto importante anche per il supporto tecnico nella gestione dei vestiti che vengono messi a disposizione dalla famiglia. L'aggravio è stato notevole ma il nostro personale ha gestito ottimamente la situazione».
Esiste un modello Don Uva?
«Non conoscevamo questo virus, ma l'unica certezza era quella di evitare assolutamente che si diffondesse all'interno della struttura e chiuderla è stata una decisione drastica ma necessaria. Il nostro personale ha rispettato rigorosamente le disposizioni igienico-sanitarie all'interno e soprattutto all'esterno del luogo di lavoro. Oltre alle classiche funzioni cui è preposto, il personale medico e paramedico ha dovuto vigilare affinchè i pazienti rispettassero fra di loro il distaziamento fisico.»
Imporre il distanziamento è stato complicato?
«Molto complicato, specie per i pazienti che hanno delle autonomie e delle abilità, i nostri operatori sono stati encomiabili e per molti dei nostri pazienti, ahimè, rappresentano la vera famiglia.»
Alcuni esperti ipotizzano in autunno una crescita della curva dei contagi ed un ritorno aggressivo del Covid-19. Il vostro modello di gestione della crisi può essere un punto di riferimento per altre strutture?
«Il Don Uva già normalmente applicava rigide regole igienico-sanitarie.
I nostri ricoveri non si sono mai interrotti, ogni nuovo paziente in ingresso è stato tutelato con una quarantena di 2 settimane e con la collaborazione dell'ASP dopo aver effettuato il tampone e solo in caso di esito negativo abbiamo provveduto all'inserimento in reparto. Attualmente abbiamo compartimezzato i settori, predisponendo specifici percorsi in entrata ed in uscita. Termoscanner per chi giunge dall'esterno e dispensatore di igienizzante. Ora gli ingressi dei parenti dei degenti sono contingentati, abbiamo aperto ma con numerose restrizioni: due visitatori per ogni stanza a giorni alterni per mezz'ora. Continuiamo a mantenere uno stato di allerta. Infine auspichiamo di ricevere il certificato di qualità con specifici ed ulteriori protocolli per ogni azione.
Le sedi di Bisceglie e Foggia hanno già la suddetta certificazione di qualità. A Potenza siamo partiti in ritardo ma siamo a buon punto».
Durante il periodo relativo al divieto di accesso esterno come avete gestito la comunicazione tra degenti e familiari? La tecnologia ha facilitato la comunicazione?
«Ci siamo forniti di tablet per facilitare le attività di comunicazione. Non è stato facile perchè per permettere un corretto utilizzo del dispositivo e dei programmi di videochiamata era indispensabile la presenza del nostro personale, che torno a ripetere, è stato encomiabile. La tecnologia ha mitigato il senso di abbandono, fungendo da ponte, anche se il contatto fisico come un abbraccio o una carezza non può essere colmato con una videochiamata».
Il ruolo delle RSA è complesso e talvolta silenzioso. Com'è la situazione in Basilicata? Il numero di posti è sufficiente per soddisfare la domanda?
«Le RSA sono un presidio fondamentale per la gestione di un paziente complesso, sia per le relative famiglie sia per le strutture ospedaliere. Sostanzialmente parliamo di pazienti complessi solo dal punto di vista assistenziale e non da quello clinico. Per un ospedale il costo di un paziente non acuto è molto alto e paradossalmente non necessita di alto sapere medico o chirurgico, bensi di assistenza continua. Nelle RSA il costo è inferiore poichè vengono erogati servizi mirati legati in primis alla sfera
assistenziale. Credo che il nuovo piano sanitario regionale possa prevedere una redistribuzione di risorse tra acuzie e cronicità».
Nell'era dell'innovazione tecnologica come immagina il Don Uva del futuro?
«La tecnologia ha un forte impatto e sicuramente la telemedicina rappresenta il futuro. Noi abbiamo quattro postazioni con dei monitor per controllare i parametri di alcuni pazienti ed abbiamo delle attrezzature per il controllo a distanza. Il nostro personale controlla da remoto trasmettendo le informazioni al pronto soccorso e al medico di base, valutando di volta in volta in teleconsulto la necessità di trasferire il paziente presso l'ospedale per acuti. La finalità è evitare l'ospedalizzazione
ove sia superflua. Il futuro è certamente rappresentato dalla telemedicina e soprattutto il teleconsulto già ampiamente utilizzato ad esempio presso l'Ospedale San Carlo».
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