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Giornata internazionale della donna

"Differenza donna": un impegno 365 giorni l’anno

Intervista a Katia Pafundi, psicologa e responsabile del Centro antiviolenza Aretusa

"Differenza donna": un impegno 365 giorni l’anno

Nascosta dalla problematica situazione attuale in cui versa il nostro Paese, la festa dell’8 marzo ha visto ridimensionare i festeggiamenti e le manifestazioni dedicati alla donna e alle sue battaglie per la parità di genere.  Ci sono tante associazioni impegnate 365 giorni l’anno a sostegno delle donne, tra esse "Differenza donna", che nasce il 6 marzo 1989 con l’obiettivo di far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza di genere. Abbiamo intervistato Caterina Pafundi, per tutti Katia, psicologa e responsabile del Centro antiviolenza Aretusa gestito dall'associazione Differenza donna ong. Originaria di Acerenza, esercita la sua professione ad Atena Lucana la più antica cittadina della Valle di Diano.

"Differenza donna" compie 31 anni. La parola “indomabili” è diventata quasi il vostro motto. Di cosa vi occupate?

«Differenza donna nasce a Roma e sin dall’inizio l’Associazione ha avuto chiaro che la discriminazione, l’emarginazione e la sopraffazione nei confronti delle donne sono un fenomeno sociale diffuso, grave, complesso, che solo competenze specifiche possono combattere con efficacia. Oggi Differenza Donna è una grande Associazione con centinaia di socie e un ampio ventaglio di iniziative tendenti a modificare la tradizionale percezione culturale nei confronti del genere femminile. Svolge molteplici attività grazie alla presenza di un gran numero di professionalità: psicologhe, psicoterapeute, assistenti sociali, medici, educatrici, avvocate, giornaliste, sociologhe, informatiche e antropologhe».  

Tra i tanti progetti, quello dei centri antiviolenza. Sei responsabile del centro Antiviolenza Aretusa. Quali sono le attività principali delle quali ti occupi?

«I Centri antiviolenza di Differenza donna di genere. Nei Centri antiviolenza vengono accolte e, se necessario, ospitate donne di ogni Paese, cultura e religione. Il nostro sostegno tende a restituire nelle mani della donna accolta o ospite del centro la sua vita, ma arricchita da un’esperienza che l’ha condotta verso la conquista di una autonomia, indispensabile per proiettarsi verso un futuro scelto e non imposto con il sopruso.Nello specifico mi occupo di gestire e sostenere il gruppo di operatrici attiviste che hanno scelto di specializzarsi sulla violenza di genere, partendo da sé per sostenere tutte le donne che decidono di intraprendere un percorso di fuori uscita dalla violenza. Siamo un gruppo che lavora mettendo al servizio delle altre donne le proprie competenze senza pregiudizio e stereotipi culturali sapendo che la violenza di genere è culturale e per destrutturarla vi è la necessità di analizzare i ruoli di genere imposti dalla società che non lascia la libera scelta. Essendo da anni sul territorio siamo diventate punto di riferimento per le donne e per i vari attori della rete territoriale con i quali collaboriamo attivamente per creare azioni concrete e individualizzate nella gestione delle diverse situazioni che ci troviamo ad affrontare».

La donna in Basilicata. Qual è la tua analisi da lucana?

«L’esperienza in questo settore non mi permette di distinguere le donne dal loro territorio di origine perché siamo tutte immerse in una cultura che vuole definirci senza rispettare le differenze che ognuna di noi ha e vuole avere. L'essere cresciuta ad Acerenza, in un ambiente protetto dove tutti ti conoscono è qualcosa che ti fa sentire sicura, ma ti spinge a cercare chi sei. In Basilicata ho potuto desiderare di sperimentare la mia libertà nella sua massima espressione perché mi ha spinta a uscire per mettermi alla prova fuori. Sono stata attivista femminista in più regioni, dalla Toscana alla Campania, passando per il Lazio e le difficoltà che le donne vivono sono le stesse, disparità di potere nelle relazioni, disparità salariali e di autonomia. Ciò che spesso ha facilitato è l’avere una rete amicale e familiare non giudicante e di sostegno per affrontare tutto ciò che una donna deve qualora scelga di liberarsi dalla spirale della violenza. Quello che si sta perdendo a livello sociale è proprio il rispetto dei diritti e della libertà altrui. Sicuramente sono stata fortunata ad essere cresciuta in una famiglia in cui ho potuto sperimentare la libertà di espressione e soprattutto la parità tra i generi, non c’è mai stata la rigidità nei ruoli familiari anche nel prendersi cura degli affetti o delle faccende domestiche portandomi oggi a creare la stessa equità nelle divisioni quotidiane di responsabilità. Sicuramente ciò che sarebbe necessario, anche nella nostra Regione, è creare tale consapevolezza in tutti gli esseri umani smettendo di negare le emozioni che sentiamo e imparando a gestirle ed esprimerle».

Partire dalla scuola, quanto è importante il confronto con i più piccoli e con le famiglie?

«Ovviamente crediamo che i ruoli di genere siano frutto di una trasmissione generazionale e riflettere insieme alle famiglie, alle e agli insegnanti e alle alunne e agli alunni permette di avere un atteggiamento critico e consapevole di come gestiamo le relazioni oggi. Non limitiamo le bambine alle sole attività del prendersi cura dei bambolotti o della casa ma facciamole appassionare anche al mondo della scienza e dell’arte così come non dovremmo limitare i bambini nel gioco imitativo del prendersi cura dei bimbi con i bambolotti ad esempio nel cucinare. Come centro svolgiamo diverse attività di sensibilizzazione nei diversi istituti scolastici del territorio, di ogni ordine e grado, passando dall’utilizzo di favole che trasmettono la parità di genere senza decidere i ruoli dei personaggi e ampliando la libera espressione dei minori, fino alla destrutturazione degli stereotipi sociali attraverso l’analisi del linguaggio che usiamo o delle pubblicità con i più grandi arrivando così a parlare delle emozioni che possiamo provare e alla loro gestione e espressione».

Raccontaci la tua “vittoria” più grande.

«Essere donna, femminista, impegnata politicamente ed impegnata nel sostegno delle donne è per me una condizione fondamentale per creare cambiamento, per me stessa, per mia figlia, per tutte le donne. Non è sempre facile: capita infatti che mi senta diversa, non compresa, mi capita sia nei confronti con gli altri, sia nelle scelte da me fatte. Molto spesso infatti chi si discosta da un’abitudine sociale o da un’idea culturale, non viene capito o apprezzato e si ritrova così a dover motivare le proprie azioni in un contesto che non sempre è pronto o ha voglia di mettersi in discussione o di capire. È passato tempo da quando i miei occhi hanno iniziato a vedere: all’inizio era tutto sfocato, non c’era una collocazione di significato. Solo nel 2007, grazie al corso di formazione dell’associazione Differenza donna, ho avuto la possibilità di indossare degli occhiali e mettere a fuoco ciò che avevo davanti. Dopo quel corso è stato tutto più chiaro, possibile, tutto si è ridefinito. Ho iniziato così a dare il nome alle cose, che è proprio il primo passo per vederle, per prenderne consapevolezza, per poterle comprendere. Noi donne abbiamo conquistato tanto nel passato, nel presente abbiamo ancora bisogno di lottare tanto per i nostri diritti, la nostra dignità. Ottengo la mia vittoria tutti i giorni perché posso scegliere di lottare per i diritti di tutte».

 

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