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Retrospettiva sul capolavoro “Non si sevizia un Paperino” del regista Lucio Fulci

Il thriller ambientato ed ispirato nella lucana Accettura

Il regista raccontò nel film il sangue e le sevizie dell'atroce strage di Bitonto

Il thriller ambientato ed ispirato nella lucana Accettura

Il film inizia con la ripresa del paesaggio di Accendura, luogo dal nome fittizio creato dal regista, adattato dal nome di Accettura, un paesino in provincia di Matera. Fulci, tuttavia, girò poche scene in Basilicata e molti esterni furono girati in Puglia e a Pietrasecca, in provincia dell’Aquila, nonostante l’anima verace e grezza di personaggi e ambienti, rispecchiassero in toto quella lucana.

Il paesaggio di verdi colline interrotte dal ponte di cemento  sembra squarciare la morbidezza e l’innocenza della natura. Tale contrasto di elementi fu coadiuvato dal compositore Riz Ortolani, le cui colonne sonore univano dolcezza della melodia alla crudeltà delle immagini, come già accadde in molti altri film drammatici, thriller e shokumentary. Ricordiamo i più famosi “Cannibal Holocaust", “La casa sperduta nel parco” di Ruggero Deodato e il mondo-movie “Mondo Cane” dei registi Jacopetti-Cavara- Prosperi

Tra il 1971 e 1972, a Bitonto, cinque bambini  furono trovati in un pozzo, senza vita. Ancora nessun colpevole per la tragedia, da allora. Sono passati quarantacinque anni e come tutti i delitti irrisolti, vengono lasciati marcire nelle carte e nella memoria occultata da altri eventi, soprattutto quando si parla di un luogo ove la povertà faceva da padrona, rendendo quasi naturale e legittima l’uccisione di esseri umani. Tuttavia, il genio di Lucio Fulci, il prolifico regista romano b-movie, capace di  “terrorizzare” pubblico, quanto tutti i generi di cinema da lui toccati, inserendo un proprio stile crudo e schietto, prese ispirazione da quel fatto terribile e realizzò il capolavoro cinematografico “Non si sevizia un Paperino”. Il film fu decretato come la summa stilistica del regista e fondamentale per il giallo italiano, che mischiava neorealismo e commedia a thriller e spy story, con la firma  dal carattere oscuro di un horror diverso e più “sincero”, rispetto al suo più stretto concorrente di quel tempo, il regista Dario Argento.

In forza dell’ispirazione data dal fatto tragico di Bitonto, Fulci riuscì a smascherare - o forse meglio a creare - quell’assassino mai trovato, con una chiave apparentemente anticlericale e immorale. Come in tutte le sue opere nessuno dei protagonisti è colpevole, nessuno innocente. Le ambientazioni furono adattate in un contesto rurale e povero dell’estremo sud lucano. La scelta dell’ambiente precario costituiva una novità nel panorama giallo cinematografico del tempo ed il risultato fu eccezionale, grazie all’eclettismo di un regista che sapeva mischiare generi tra loro e creare veri e propri capolavori senza tempo.


Il film inizia con la ripresa del paesaggio di Accendura, luogo dal nome fittizio creato dal regista, adattato dal nome di Accettura, un paesino in provincia di Matera. Fulci, tuttavia, girò poche scene in Basilicata e molti esterni furono girati in Puglia e a Pietrasecca, in provincia dell’Aquila, nonostante l’anima verace e grezza di personaggi e ambienti, rispecchiassero in toto quella lucana.

Il paesaggio di verdi colline interrotte dal ponte di cemento  sembra squarciare la morbidezza e l’innocenza della natura. Tale contrasto di elementi fu coadiuvato dal compositore Riz Ortolani, le cui colonne sonore univano dolcezza della melodia alla crudeltà delle immagini, come già accadde in molti altri film drammatici, thriller e shokumentary. Ricordiamo i più famosi “Cannibal Holocaust", “La casa sperduta nel parco” di Ruggero Deodato e il mondo-movie “Mondo Cane” dei registi Jacopetti-Cavara- Prosperi.

L’inizio del film mostra il disseppellimento dello scheletro di un neonato da parte della “maciara” di Accendura, interpretata da una straordinaria Florinda Bolkan, già nota per la sua parte precedente nel giallo cult di Fulci “Una lucertola con la pelle di donna”, del 1977. 

Nella scena successiva dei bambini, in chiesa, intenti a pregare. Per quei bambini, la preghiera è una “veste” che maschera gli impulsi ormonali di adolescenti in erba. I bambini sono attratti dalle donne, dalle prostitute, dal sesso, dalle riviste pornografiche. Non a caso questo film fu ampiamente criticato e ritenuto vergognoso. 

Un’opera dissacrante, cruda, dove non si risparmiava nessuna pietà sulla ingenua figura del bambino, ora intento a pregare, ora intento a giocare al pallone, ora intento a essere curioso sul sesso. I bambini non erano più bambini e questo, Fulci, lo ha fatto capire molto bene : dalle forti Gauloises fumate dai minori, alle pulsioni di spiare il sesso fra adulti, sino alla più particolare ripresa delle fattezze del  bambino che, avviandosi verso l’uscita dalla chiesa, non è più bambino, ma adulto. 

Fulci rovescia ogni stereotipo, pur mantenendo il sacrifico dei bambini della storia originale: i bambini non più bambini e, gli adulti, visti come orpelli piagnucolanti e subdoli. 

I bambini , tuttavia, sono punibili dall’ipocrisia e bigottismo ma sono pianti nella loro morte, esattamente come accade agli adulti: negati dalla vita, amati dalla morte. 

L’operazione del regista, infatti, fu proprio il superamento del pensiero del tempo, il superamento degli stereotipi sul possibile assassino ed anche del superamento anticlericale, oltre che di ceto sociale. 

Imputabili di reato di omicidio sono vari personaggi: il guardone Barra, ben presto scagionato; lo zio Francesco (George Wilson); la “maciara" che si autodichiara colpevole della morte dei primi due bambini attraverso la magia nera e la bionda e ricca Patrizia, una ragazza confinata nel luogo per scappare alle tentazioni della droga, da cui non uscirà e che a causa di quella la imputavano indiziata. Il personaggio di Patrizia, interpretata da Barbara Bouchet, fu molto discusso e oggetto di controversie e di denunce. La scena in cui la  Bouchet si presenta nuda e ammiccante davanti a uno dei ragazzini, fu considerata di una morbosità e scandalo unici per quel tempo. Proprio a causa di ciò, Fulci fu incriminato ma ben presto scagionato, in quanto non vi fu nessuna scena di nudo davanti al piccolo attore. Fu utilizzato, per i controcampi, Domenico Semeraro, affetto da nanismo. Curioso notare che il cognome Semeraro era anche quello della nonna di tre dei bambini uccisi realmente nella strage di Bitonto.

Se i bambini non sono più bambini e se nessuno degli indiziati si rivelava vero colpevole, allora chi poteva esserlo davvero? Occorre dire che se i bambini non sono più bambini, gli adulti prendono il loro posto. Le reazioni degli adulti sono talmente senza nervo, totalmente assenti nella difesa. Persino le forze dell’ordine non hanno potere.  Persino la magia nera non ha più potere. Tutta l’autorità e le superstizioni delle cariche visibili e invisibili non hanno più valore. 

Nessun adulto , tranne il giornalista di cronaca nera, interpretato dal compianto Tomas Milian, è in grado di difendersi: gli adulti sono indifesi ma il giornalista no. 

Il giornalista è una figura risoluta e a tratti sfrontata, che diventerà eroe trasformandosi esso stesso in assassino del vero colpevole. Tutto questo grazie alla testa di un paperino di plastica, quel paperino che non era altri che una metafora oggetto per indicare il bambino, o meglio, i bambini uccisi e che diede pure non pochi problemi a Fulci. Infatti, il film, doveva intitolarsi “Non si sevizia Paperino”. La Disney ebbe a ridire sul titolo ma con uno stratagemma grafico mascherarono un poco quel “un”, trovando così una soluzione per far rimanere in qualche modo il titolo originale. Manca citare la figura fondamentale: il prete Don Alberto, la cui parte fu affidata a Marc Porel, la cui interpretazione fu giudicata una delle migliori della sua carriera,  figlio di Aurelia (Irene Papas) e fratello della piccola Malvina. 

Quel prete onnisciente nei confronti degli cittadini, un prete giovane e dal bell’aspetto, che si lascia smascherare nelle sue debolezze, cedendo alla sigaretta offertagli da giornalista. Chi trasgredisce una regola, potrebbe commettere qualsiasi altro peccato. Fulci avverte lo spettatore già con quel particolare, che , infatti, si rivelerà mostrare la colpevolezza piena del prete. Lui era l’assassino dei bambini; lui che non vediamo trasgredire nei confronti del sesso o delle donne da guardare, ma lo vediamo uccidere, riportare tutto a un certo candore. 

Con la scena finale del combattimento tra Milian e Porel, Fulci mostra la trasformazione del volto del prete, che precipita dal burrone, in caduta libera: un lucifero dalle sembianze disumane,  a testa in giù in picchiata , nel vuoto, ove la macchina da presa esalta non più il volto angelico del prete ma un  orribile pupazzo deformato, trasformato, ribaltato, esattamente come si trasforma il volto durante un esorcismo, mettendone in luce la mostruosità. Per quel prete tormentato la morte era esorcismo dal dolore. Fulci veste il finale di anticlericalismo e si incarna nello spirito. Al tempo occorreva mostrare l’umanità anche nelle divise. Il rispetto per una tonaca veniva scalfita e interrotta dal regista che, in quel momento, si sostituiva all’entità, a Dio. Consumati i drammi, il dolore, le giustizie private e la morte, Fulci fa accettare al pubblico con maestria il giornalista assassino, che ha dovuto uccidere per salvarsi e per salvare la piccola sorellina del prete Malvina, rea, a suo modo, di aver staccato la testa a quel paperino durante l’assassinio di un bambino; lei, che sarebbe stata uccisa di lì a poco da suo fratello. Lei, Malvina, forse, non a caso. L’etimologia del nome che spesso troviamo in letteratura assume diversi significati. In questo caso è suggestivo pensare derivi dal tedesco “mal-win”, letteralmente “amica della giustizia” ed il ruolo della piccola è stato quello di fare giustizia, smascherando il colpevole.

Il finale riprende le dolci e  verdi colline dell’inizio, non più solo cornice di un paese povero e rurale, ma cornice delle perversioni umane. Fulci  si ispirò alla triste  storia della strage di quei poveri bambini e l’ha raccontata, a modo suo, lasciando allo spettatore un amaro dubbio sulla realtà di tanti altri crimini commessi.

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