IL MATTINO
A un passo dal vero, il romanzo a puntate di Lorenza Colicigno
23.04.2017 - 17:59
La poetessa Isabella Morra, uccisa a 26 anni
“Non tarderà l’angoscia a trasparire/fuor dai miei occhi, che ora son già spenti/…………………./la carne mia legata al tuo destino//brucia d’ardore e insieme di tal pena/che ………………//Non lascerò mie pene fino a quando/il mondo non saprà di mia sventura;/…………/di lieti giorni mai potrò godere//se tu non mi darai alfine ascolto/e di vendetta giurerai...”.
Se li era trascritti sul suo taccuino e li andava rileggendo. Già il suo taccuino. Quando l’aveva comprato, si era detta che era piuttosto un taccuone, e lì, benché ormai ridotto a un ammasso quasi informe, continuava ad aggiungere appunti su appunti. Era una sorta di difesa dei suoi percorsi investigativi, solo lei, infatti, avrebbe potuto capirci qualcosa in quel labirinto di segni. E lei, evidentemente, ci capiva, visto che il numero dei casi risolti aumentava proporzionalmente al disordine (lei sosteneva apparente) nel taccuone. I versi della povera Isabella erano diventati la cornice di una pagina giàromanzo abbondantemente carica di segni di un nero carico e quasi lucido, abbagliante. Sulla penna con cui riusciva ad ottenere l’effetto lucido abbagliante, manteneva un segreto totale.
- Va be’ - si disse Adele - non divaghiamo.
Ma, in effetti, non stava divagando. Anche se ancora non le riusciva di capirne il motivo, la penna c’entrava qualcosa, tuttavia bisognava aspettare ancora un po’ perché le associazioni in libertà del suo cervello giungessero al punto.
Aspettava, tra pazienza e impazienza, che il circuito delle associazioni si chiudesse con una brillante intuizione, intanto…ecco, intanto poteva fare qualcosa di utile e…piacevole anche, per lei: rileggere le rime di Isabella. E sì, alla fine la strada verso l’intuizione passava di lì, capire se quei versi che facevano da cornice ai suoi pensieri come facevano da cornice alla pagina 231 del taccuone, fossero di Isabella Prima (le era piaciuta la definizione che la povera Isabella usava – a dire della madre – per parlare dell’altrettanto povera poeta). Avrebbe ripreso – dopo quarant’anni circa – la lettura delle rime di Isabella Morra la sera stessa.
Ed eccola Adele, scrupolosamente pronta a tornare attiva, come sempre, distesa sul divano letto, telecomando della tapparella sul comodino, telefono a portata di mano, scarpe a portata di piedi, vestiti allineati secondo una tecnica collaudata da anni di risvegli improvvisi e uscite rapidissime. Le rime di Isabella in una mano, il taccuone nell’altra. Quella notte si prolungò fino alle 7.25, quando finì la lettura puntigliosa delle rime. Alle 7.30 il buio della tapparella lasciò il posto a una luce intensa, quasi innaturale per quella stagione, sarebbe stata una bella giornata. Non era il caso di stare allegre, si disse. L’aspettava la soluzione di un delitto. Il caffè, amaro e intiepidito da un’attesa inutile quanto abitudinaria, non prometteva bene. Tazzina in mano, si diresse alla finestra, i passi rallentati, lo sguardo fisso a un punto inesistente, il collo rigido, tutte le energie sembravano impegnate in qualcosa…e già l’intuizione…ah, ecco, e l’intuizione esplose in un grido: Giustina!
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