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Elsa Morante, il quarantennale dalla morte

Elsa Morante, il quarantennale dalla morte

Elsa Morante non è direttamente legata al 25 novembre come data storica, la ricorrenza è posteriore alla sua morte, ma il suo nome viene spesso accostato a questa giornata perché è morta il 25 novembre 1985, di quaranta anni fa, in un ospedale romano, e questa coincidenza ha contribuito a legare il suo nome, dal 1999, alla "Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne". Giornata istituita dall'ONU per ricordare la morte delle sorelle Mirabal, attiviste politiche, uccise nel 1960 dal regime di Trujillo.
La coincidenza tra la sua morte e la ricorrenza del 25 novembre è diventata doppiamente simbolica perché la Morante ha raccontato spesso la violenza, soprattutto quella subita dai più vulnerabili. Il suo sguardo profondo, empatico e spesso doloroso è percepito come straordinariamente attuale rispetto ai temi della giornata.
"La Storia", il suo romanzo più famoso, ha al centro proprio una violenza brutale contro una donna.
Questo episodio è diventato uno dei passaggi letterari più citati nelle riflessioni sul femminicidio e sulla violenza di genere.
Il 25 novembre è diventato quindi un giorno in cui, oltre a riflettere sul tema della violenza, molti ricordano anche la Morante come una voce letteraria in grado di illuminare la sofferenza umana con rara intensità.

La Morante e il femminismo 

La scrittrice non era “femminista” per autodefinizione. Non partecipò ai gruppi e ai collettivi degli anni Sessanta e Settanta, non prese parte alle battaglie politiche del movimento e non si riconobbe nelle etichette. Aveva una personalità fortemente indipendente, refrattaria ad appartenenze ideologiche.
Diceva spesso che la sua unica patria era la letteratura.
Nonostante questo, molte femministe e intellettuali videro nella Morante una voce potentissima, una rappresentazione autentica della sofferenza e dell’oppressione, grazie alla presenza nei suoi romanzi di personaggi di donne complessi, non stereotipati, e anche in virtù della sensibilità verso il trauma e la fragilità, che anticipava temi poi centrali nel femminismo.
Eppure una parte delle femministe era più critica nei confronti della Morante. La percepiva come “solitaria”, distante dai movimenti collettivi.
Il suo sguardo era considerato pessimistico, tragico, poco politico e misogino.
Avrebbe voluto questa parte protagoniste femminili forti e emancipate, mentre la Morante raccontava donne vulnerabili, spesso vittime.
Sbagliava, la Morante scriveva senza indugiare sullo stereotipo e senza intingere il pennino nell'inchiosto rosa, così caro a molte scrittrici e a molte lettrici, che pensavano e pensano possa esistere una scrittura femminile e una scrittura maschile, una cosa cui la Morante non credeva.

La Storia 

L’uscita de "La Storia" nel 1974, fu un vero e proprio terremoto culturale, tanto da spostare gran parte dei movimenti femministi verso le sue di posizioni.
Ida, la protagonista del romanzo, una donna che sopravvive alla violenza maschile e alla disumanità della guerra, era destinata per questa ragione a diventare il simbolo di tutte le donne schiacciate dai poteri patriarcali, soprattutto per quella maternità subita, non scelta.
A dispetto di chi criticò il romanzo, sostenendo che la rappresentazione di Ida fosse “troppo passiva” perché la sua sofferenza era eccessivamente estetizzata, tanto da non potere essere considerata una donna emancipata e un modello per le altre di donne.
Il dibattito fu acceso, ma rivelò quanto profondamente la Morante avesse toccato temi sensibili.
La sua posizione era: né contro né dentro.
Non contrattaccò mai il femminismo, ma si mantenne su una posizione autonoma.
Pur non aderendo ai movimenti, nutriva un profondo rispetto per le donne e per il loro destino storico.
Molte sue dichiarazioni mostrano che considerava la condizione femminile, ingiusta, dolorosa, strutturalmente dominata.
Ma non voleva che la letteratura diventasse “strumento didattico”.

Elsa Morante e il panorama letterario femminile del suo tempo 

Elsa Morante aveva un rapporto particolare con il panorama letterario femminile a lei contemporaneo.
Pur stimando alcune colleghe, non amava essere “messa nella categoria delle scrittrici donne”.
Teneva moltissimo alla propria autonomia, e rifuggiva qualunque etichetta identitaria.
Tra le poche scrittrici stimate sinceramente da la Morante c’era Natalia Ginzburg. La considerava intelligente, ironica, libera. Ginzburg, a sua volta, la definì “un genio difficile ma luminoso”.
Con Anna Maria Ortese invece c’era un rispetto reciproco ma anche distanza. I loro due mondi poetici erano sì potentissimi ma incompatibili.
Su Lalla Romano, Alba de Céspedes, Fausta Cialente, la Morante non espresse mai forti giudizi pubblici, ma dalle testimonianze sembra che non le considerasse vicine al proprio modo di intendere la letteratura, troppo radicato nella sua personale mitologia.

La sua concezione della scrittura 

La Morante credeva che la letteratura fosse un fatto assoluto, non legato al genere "dell’autore", e non voleva sentirsi rappresentante di una “categoria minoritaria”.
Per lei la separazione tra “scrittori” e “scrittrici” era un errore concettuale che riduceva la potenza dell’arte.
Elsa Morante aveva una visione duplice e complessa della scrittura femminile.
Riconosceva che le donne vivevano una condizione svantaggiata, ma pure senza esprimersi con un linguaggio femminista, sapeva che la società italiana aveva escluso per secoli le donne dall’istruzione, che le donne avevano meno tempo, meno libertà, meno accesso al mondo culturale, e che l’immaginario letterario era dominato da un punto di vista maschile.
Era molto consapevole del “peso discriminante della storia”, anche se non lo trasformava in manifesto politico. Credeva nella potenza creativa femminile, non pensava che le donne fossero meno capaci degli uomini.
Anzi, riteneva che la loro esperienza di empatia e di corporeità potesse generare una letteratura di grande profondità. Ma rifiutava l’idea di una “scrittura femminile” codificata. Non voleva modelli, manifesti, scuole.
L’unica legge per lei era l’immaginazione assoluta.
In definitiva la Morante diceva implicitamente che le donne scrivono da secoli in svantaggio, diceva implicitamente Morante, ma che la grande letteratura non è maschile né femminile: è letteratura.
Con il tempo, molte figure femminili create da Morante sono diventate icone del femminismo contemporaneo.
Non perché siano modelli di emancipazione, ma perché mostrano resistenza, capacità di sopravvivere alla violenza, e anche perché la maternità nella Morante è narrata con lucidità senza indulgenza, un esempio per tutti la negazione dei baci materni. Un fatto frequente e tutt'altro che sviscerato nella letteratura e anche nella realtà, come invece capita ne "La Isola di Arturo".
«[…] pareva che non si potesse mai conoscere la vera felicità dei baci, se erano mancati i primi, i più graziosi, celesti: della madre. E allora, per trovare un poco di consolazione e di riposo, mi fingevo nella mente la scena di una madre che baciava un figlio con affetto quasi divino. E quel figlio ero io. Ma la madre, pur senza che io lo volessi, non somigliava alla mia madre vera.
Quelli come te, che hanno due sangui diversi nelle vene, non trovano mai riposo né contentezza; e mentre sono là, vorrebbero trovarsi qua, e appena tornati qui, subito hanno voglia di scappar via. Tu te ne andrai da un luogo all’altro, come se fuggissi di prigione, o corressi in cerca di qualcuno; ma in realtà inseguirai soltanto le sorti diverse che si mischiano nel tuo sangue, poiché il tuo sangue è come un animale doppio, è come un cavallo grifone, come una sirena.»

Ida e Mariam 
Il simbolo più potente tra le sue protagoniste rimane comunque Ida Ramundo che viene stuprata, vive la guerra da donna sola, è terrorizzata, eppure continua ad essere madre.
Ne “Il mondo salvato dai ragazzini” invece Mariam, la protagonista, è una figura femminile investita di un’aura quasi sacrale, simbolo di amore assoluto e di sacrificio.
Molte letture femministe la interpretano come un archetipo di solidarietà e di cura.
Dagli anni ’90 in poi, la critica femminista ha rivalutato la Morante in senso molto positivo.
Oggi è considerata una delle più grandi scrittrici del Novecento, una pioniera nel raccontare la violenza di genere, una precorritrice del discorso sul trauma e una figura che ha regalato alla letteratura italiana uno sguardo femminile senza compromessi.
Molte scrittrici contemporanee la riconoscono come madre simbolica.

«Bisogna scrivere solo libri che cambiano il mondo
Che il segreto dell’arte sia qui? Ricordare come l’opera si è vista in uno stato di sogno, ridirla come si è vista, cercare soprattutto di ricordare. Ché forse tutto l’inventare è ricordare.
Una delle possibili definizioni giuste di scrittore, per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura
Ho troppi mali per riuscire a guarire, e nessuno così grave per morire in fretta.»

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