IL MATTINO
Cultura
19.10.2025 - 16:33
Antonella Gramigna è una giornalista, direttore de "The Gram Journal", che ha scelto di parlare al pubblico non sono attraverso i suoi articoli e il suo giornale , ma anche attraverso i suoi romanzi che sono dei saggi narrativi, per la capacità che ha l'autrice di coniugare il racconto e la riflessione critica. Il suo ultimo libro "Unperfect" chiude una trilogia che ha portato i lettori, negli anni, dentro il cuore del giornalismo e della comunicazione, politica e sociale, raccontandone le sfide, i limiti e le trasformazioni. Dopo aver analizzato le origini e i cambiamenti di un mestiere che ogni giorno plasma il nostro sguardo sul mondo, questo “terzo capitolo” mette a fuoco l’elemento forse più umano e più vero: l’imperfezione. O per meglio dire, richiamando il titolo: quella lacuna che esiste e non permette la perfezione. Ed è la disinformazione.
Perché il giornalismo, quando è fatto bene, non è mai neutro né sterile: è sincero, è il filo che lega le persone alla realtà, è il mezzo che permette di formarsi un’opinione e di esercitare davvero una scelta consapevole quando si tratta di scegliere da che parte stare. In una società dove la velocità e il rumore rischiano di prevalere sulla qualità dell’informazione, come i social, Unperfect ricorda quanto sia decisiva una buona comunicazione per rafforzare la democrazia. Solo un’informazione corretta, critica e responsabile può aiutare i cittadini a orientarsi nelle decisioni politiche e a partecipare con coscienza alla vita collettiva.
Con uno stile diretto e coinvolgente, il libro non è solo il punto finale di un percorso, ma anche un invito: guardare all’informazione non come a un flusso da subire, ma come a uno strumento da usare per costruire il futuro.
Unperfect conclude una trilogia: in che modo questo terzo libro dialoga con i precedenti?
«Direi che i tre libri sono come tre atti di un unico discorso. Nei primi due ho cercato di indagare le radici e le metamorfosi del giornalismo, in periodi segnati da diverse tematiche, mentre in Unperfect ho voluto portare lo sguardo sul lato più fragile e autentico: l’imperfezione. Perché è lì che si misura la verità di una professione che, pur con i suoi limiti, resta decisiva per la società».
Perché ha scelto l’imperfezione come tema finale del percorso?
«Perché siamo abituati a pensare che il giornalismo debba essere perfetto, neutro, sempre oggettivo. Ma in realtà non esiste informazione senza scelte, senza punti di vista, senza errori. L’imperfezione è lo spazio umano del giornalista, ma anche quello che permette al lettore di mettersi in gioco e non subire passivamente la notizia. Ma c’è un punto focale: il giornalismo deve informare dei fatti non fuorviare. Deve essere etico ed autentico e non disinformante».
C’è un filo rosso che lega i tre volumi e che il lettore riconoscerà chiaramente in quest’ultimo capitolo?
«Il filo rosso è la domanda: “Come costruiamo la realtà che raccontiamo?”. Ogni libro ha esplorato una parte della risposta. Con Unperfect arriva la consapevolezza che la realtà non è mai data una volta per tutte, ma è sempre il frutto di una relazione tra chi scrive e chi legge. Ma anche tra chi pensa che una fake news sia verità e chi la combatte ogni giorno».
Oggi si parla molto di crisi del giornalismo: qual è, secondo lei, il vero problema da affrontare?
«La crisi non è solo economica o tecnologica, ma soprattutto culturale. Ci siamo abituati a un consumo veloce dell’informazione, a notizie frammentate che non lasciano il tempo della riflessione. Al mondo dei social: un vero problema perché non si può delegare ad un Fb il compito della narrazione. La vera difficoltà è ricostruire fiducia e profondità, perché senza quelle il giornalismo diventa rumore di fondo. Servirebbe un osservatorio sul Giornalismo e la Comunicazione».
Quanto conta la qualità della comunicazione giornalistica per la democrazia?
«Conta enormemente. Una democrazia vive se i cittadini hanno strumenti per capire e scegliere. Una cattiva comunicazione o comunicazione disinformante (o peggio pilotata) porta a decisioni superficiali, emotive, manipolate. Una buona comunicazione, invece, dà le basi per un pensiero critico e rende le persone protagoniste delle proprie scelte politiche».
In che modo un giornalista può contribuire a far crescere la consapevolezza dei cittadini nelle scelte politiche?
«Smettendo di inseguire solo la velocità e tornando a dare contesto. Non basta dire “cosa è successo”, bisogna aiutare a capire “perché” e “con quali conseguenze”. È in quel passaggio che nasce la consapevolezza. Attraverso l’informazione e la riflessione».
Crede che i nuovi media abbiano ampliato o ridotto lo spazio di un’informazione autentica e responsabile?
«Entrambe le cose. Hanno ampliato le voci, ma hanno anche moltiplicato le distorsioni. È una grande occasione, ma richiede un’educazione nuova: dobbiamo imparare a distinguere tra informazione e propaganda, tra dati e opinioni».
A chi si rivolge principalmente questo libro: ai professionisti del settore o ai lettori comuni?
«A entrambi. Non volevo scrivere un manuale tecnico, ma un romanzo-saggio che potesse parlare a chi lavora nel settore e allo stesso tempo a chi ogni giorno si informa, cioè a tutti noi attraverso personaggi ed i loro dialoghi. L’informazione non è mai solo dei giornalisti, è di chi la riceve e la interpreta. In regione Toscana( la mia regione ) ne è nata una mozione approvata all’unanimità e di recente il Presidente uscente ha pensato di dare spazio ad accordi per un seguito a questa mozione».
Qual è la responsabilità del cittadino nel cercare, scegliere e sostenere un’informazione di qualità?
«Enorme. Ogni volta che clicchiamo, leggiamo, condividiamo, stiamo scegliendo che tipo di giornalismo alimentare. Se premiamo la superficialità, avremo superficialità. Se premiamo la qualità, daremo respiro a chi lavora con serietà».
C’è un messaggio che vorrebbe arrivasse forte e chiaro al lettore dopo la lettura di Unperfect?
«Che l’imperfezione non è una mancanza, ma una fisiologia del sistema. Nel giornalismo, come nella vita, riconoscere i limiti è il primo passo per esercitare davvero la propria responsabilità. L’impegno di tutti è quello di non fermarsi mai alle apparenze dei titoli altisonanti ma di andare a fondo, sempre, di ogni notizia».
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