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Memoria

Elisa Claps, 32 anni dopo resta ancora un aspetto tutto da esplorare

Chi ha aiutato Danilo Restivo a nascondere il corpo per diciassette anni? La domanda che continua a pesare come un’ombra sulla chiesa della Trinità e sulla città di Potenza

L'omicidio di Elisa Claps a Potenza, otto anni dopo il ritrovamento nel sottotetto la chiesa della Trinità resta chiusa: è il simbolo di una ferita indelebile

Elisa Claps

Oggi è il 12 settembre, e ogni volta che questa data torna è come se il tempo si fermasse a Potenza. È la mattina in cui Elisa Claps esce di casa, dice che andrà a messa, che poi incontrerà un’amica e che sarebbe tornata per pranzo. Da quel momento inizia una storia che sembra scritta da un romanziere nero, con tutti gli elementi che fanno rabbrividire: una ragazza di 16 anni che sparisce in pieno giorno, una città che si interroga, una famiglia che non si arrende e un segreto custodito per 17 lunghissimi anni nel luogo più impensabile, il sottotetto di una chiesa. Elisa è una studentessa del liceo classico, con i sogni grandi di chi ha appena cominciato a pensare al futuro. Vuole studiare medicina. Ha due fratelli, Gildo e Luciano, e una famiglia che la aspetta ogni giorno a pranzo. Ma quel 12 settembre 1993, a quell’ora, a tavola resta una sedia vuota. Da lì in poi comincia l’incubo. Le prime ricerche, le domande, le ipotesi. Elisa è scappata? Elisa è da qualche parte viva? Chi l’ha vista per ultimo? Spunta il nome di Danilo Restivo, l’ultimo a incontrarla, un ragazzo di 21 anni che dice di averle parlato in chiesa. Ma la storia non torna, ci sono dettagli che non combaciano, eppure le indagini non portano da nessuna parte. Gli anni passano, la famiglia non smette di chiedere, la madre e i fratelli non smettono di parlare con giornalisti, avvocati, magistrati. Non smettono di bussare a ogni porta. Poi, il 17 marzo 2010, il colpo di scena. Nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità, proprio quella dove Elisa era stata vista per l’ultima volta, vengono trovati dei resti umani. Sono di Elisa. Diciassette anni di mistero che si sciolgono in un istante, ma quello che si scopre è insopportabile: il corpo è lì, con gli occhiali, i sandali, i vestiti lacerati. È come se qualcuno avesse lasciato il tempo fermo a quel giorno del 1993. Una scena del crimine rimasta sospesa per anni, sotto gli occhi di tutti e di nessuno. Danilo Restivo viene condannato per l’omicidio. Intanto in Inghilterra, dove si era trasferito, ha commesso un altro delitto efferato, quello di Heather Barnett. Il cerchio si chiude, ma resta il buco nero delle indagini: come è possibile che il corpo sia rimasto lì per tutto quel tempo? È qui che entra in gioco quello che Fabio Amendolara e Fabrizio Di Vito, nel loro libro Elisa Claps, indagine nell’abisso della chiesa della Trinità, chiamano «l’ultimo segmento mai esplorato»: chi ha aiutato Danilo Restivo a occultare il corpo di Elisa e a farla franca per 17 anni? Un segmento di verità che ancora manca e che pesa come un macigno.

Ricordare Elisa oggi significa anche ricordare tutto questo: il dolore, l’ingiustizia, le omissioni. Non basta dire che il colpevole è stato punito, perché la verità non è solo un verdetto, è anche il dovere di raccontare perché la giustizia è arrivata così tardi. Elisa è diventata il simbolo di una battaglia per la trasparenza, per la dignità delle vittime, per il diritto delle famiglie a non essere lasciate sole. Ogni 12 settembre, a Potenza, c’è chi passa davanti alla chiesa della Trinità e si chiede come sia potuto accadere. È un giorno che resta lì, immobile, come il tempo rimasto sospeso per 17 anni in quel sottotetto. Ricordarla oggi vuol dire impedire che cali il silenzio, vuol dire non accettare che quella ferita diventi cicatrice. Perché Elisa, con la sua storia, ci chiede ancora di non distogliere lo sguardo.

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