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02.07.2025 - 11:55
Pasquale Pepe (archivio)
In Basilicata parlare di acqua ha sempre avuto un tono rassicurante. Una terra benedetta da dighe, invasi e tanto, tantissimo oro blu che da decenni hanno reso il territorio una “cassaforte” di risorse idriche. Talmente abbondanti rispetto alle esigenze agricole, industriali e alla popolazione residente da poter essere esportate nelle regioni limitrofe. Ma proprio questa abbondanza percepita ha creato nel tempo una pericolosa illusione di sicurezza. Mentre l’acqua scorreva le condotte invecchiavano. La Basilicata è così arrivata nel 2025 con una realtà paradossale: dispersioni superiori al 50%, intere aree servite da infrastrutture fatiscenti e una crisi climatica che ha cominciato a presentare il conto, al punto da dover razionare la fornitura nei periodi di maggiore criticità, come successo lo scorso autunno per lo schema Basento-Camastra. In questo scenario Pepe ha accettato la sfida più difficile: intervenire dove gli altri hanno rinviato o tergiversato. L’assessore regionale alle Infrastrutture e reti idriche ha scelto di non limitarsi a gestire l’ordinario o affrontare alla meglio le criticità in attesa di pioggia e neve. Ha capito che il problema dell’acqua non è solo un’emergenza da tamponare nei periodi di secca, ma una questione strutturale da risolvere alla radice. Con il piano da 38,2 milioni di euro per la digitalizzazione, manutenzione e sostituzione delle reti, ha avviato un processo che potrà sembrare poco visibile nel breve periodo – perché ai tubi non si taglia il nastro e le infrastrutture richiedono tempi e procedure complesse – ma è forse uno dei più decisivi interventi per il futuro della Basilicata. Si interviene sulle perdite, per non buttare più al vento milioni di metri cubi. Si punta sulla digitalizzazione, perché oggi non si può governare nulla senza dati in tempo reale. Si creano collegamenti tra invasi e potabilizzatori, Masseria Romaniello - diga di Acerenza, per non dipendere da un solo bacino e garantire continuità anche in emergenza. Si istituisce un Ufficio Reti Idriche che finalmente accorpa competenze e velocizza i tempi. È un approccio ingegneristico, moderno, razionale, che guarda ai prossimi trent’anni. Un cambio di passo culturale, prima ancora che tecnico. La governance idrica, come noto, coinvolge più attori ma la politica è come sempre il grimaldello che muove le priorità e determina gli indirizzi da seguire e Pepe ha il merito di aver portato l’acqua dentro la strategia politica, non solo nella gestione tecnica. Perché l’acqua è politica: è sviluppo, è salute, è equità territoriale. È una risorsa che, se gestita male, crea desertificazione sociale; se governata bene è alla base dell'agricoltura, del turismo, della qualità della vita. Il rischio era di continuare a fare come sempre: piccoli interventi, gare lente, manutenzioni minime. Invece oggi si ragiona in termini di sistema, di mappa regionale delle criticità, di programmazione, di rischio idrico da mitigare. Se Pasquale Pepe riuscirà davvero a segnare un cambio di passo strutturale entro la fine della legislatura, gettando le basi per la rete idrica del futuro, avrà vinto la sua battaglia. Perché si tratta di una battaglia contro l’inerzia, l’abitudine, il rimando. E se vincerà, non avrà vinto per sé: avrà vinto per un’intera generazione di lucani.
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