IL MATTINO
Società
16.11.2024 - 16:59
In un mondo sempre più chiuso e ostile, malgrado la globalizzazione, per abbattere la difficoltà di stabilire contatti e riuscire a creare empatia tra persone e mondi sempre più diversi tra di loro, in Danimarca, già da tempo, esistono le Human library luoghi in cui è possibile “sfogliare” persone, con le loro storie, al posto dei libri. Un fatto questo tutt’altro che strano se consideriamo l'importanza che ha avuto, e ha, la cultura orale per fare passare informazioni, e per contribuire a fare sì che queste informazioni possano diventare Comunità. Ed anche per questa ragione l’ Human library è un'organizzazione internazionale con sede in ottanta paesi, Italia compresa, con lo scopo di abbattere i pregiudizi proprio e grazie alla possibilità di toccare con mano la storia di un altro, e poterne sentire, con più decisione, la vitale drammaticità.
È evidente che la nascita di queste librerie umane abbia a sua volta creato un mercato nuovo, mercato che è quello dei sensitivity reader, esseri umani che non si limitano a raccontare le loro storie ma le vendono all'industria libraria.
In America, i sensitivity reader sono una realtà, realtà che rende le stesse librerie umane obsolete e superate.
Vediamo perché.
Il processo di massificazione che la scrittura ha subito nella nostra epoca ha avuto e ha risvolti sempre più interessanti e problematici.
La difficoltà di riuscire ad intercettare un mercato, tale da assorbire tutto ciò che viene pubblicato dall'industria editoriale, rende difficile stare dietro alla qualità di ciò che si produce, rendendo necessaria, per gli editori, l’adesione a schemi sociali preconfezionati, più che a veri disegni editoriali per raggiungere i lettori e vendere i libri.
Se accettiamo che il libro è un prodotto da distribuire come un altro, lo è, ai lettori/consumatori serve parlare in maniera semplice e con l'attenzione dovuta. Il rischio di invenduto con i libri è drammaticamente certo, per quanto i costi del libro siano tutte sulle spalle dell’autore, autore che solo in caso di successo e quindi di grandi vendite, può dire di essere un professionista del settore, come accade in tutti i settori dell'economia di mercato.
Diventa così più importante nel mondo/mercato libro non sbagliare e non sbagliare vuol dire non urtare la sensibilità di nessuno. I libri più venduti sono un po’ dolci, un po’ salati, come accade con un panino di Mac Donald, basta guardare le classifiche per capirlo. Per vendere libri dunque serve parlare al consumatore di panini più che a Borges.
Se il libro per esigenze di mercato brucia rapidamente, intercettare il maggior numero di acquirenti/lettori possibili è fondamentale, acquirenti/lettori che devono essere blanditi e mantenuti nel proprio stato emotivo/esistenziale, e cioè a metà strada tra l'esaltazione e la pacificazione, insomma devono rimane quasi sedati.
Niente deve turbare questo stato, al contrario devono essere poste le condizioni affinché perduri questa situazione.
Intercettato un segmento di mercato si insiste su quella strada, come accade con qualsiasi prodotto.
Volere negare che ai libri si applichino le leggi del libero mercato rende la possibilità di modificare le regole più difficile, e nemmeno ci viene d'aiuto l'America, paese a cui guardiamo per ogni cosa, essendo l'America la patria del democratico libero mercato.
In America, per ragioni strutturali e legate all'identità del paese, è possibile fare tutto, fino a quando non si offende la suscettibilità delle varie e differenti classi sociali. Tutto in questo paese si misura attraverso la lente di ingrandimento, deformata, del politically correct, politically correct che è una moderna evoluzione del diritto. Un diritto “impastato” ai sentimenti, come previsto da qualsiasi manuale motivazionale, manuali che in America fungono da supporto psicologico e ideologico, in un paese che è troppo giovane per avere spalle più larghe di un manuale comportamentale.
È in questo contesto che nasce la figura del sensitivity reader, e cioè di una persona che vende la propria storia di vita, così chi scrive perde il potere di osservazioni e comprensione del reale limitandosi a copia incollare le vite degli altri.
In buona sostanza con questa figura "professionale" è formalizzata l'esistenza della scrittura/fabbrica, un sistema in cui diventa centrale il cliente e il bisogno di convogliarne i desideri.
Un cliente/lettore sacro di cui non serve disturbare la scontata trasparenza dei desideri/bisogni, come non serve indurlo in tentazione. Basta solo rimodulare i suoi desideri dandogli l’impressione che siano nuovi di zecca.
La morte del libro inteso come viaggio dentro e fuori di sé, e dello scrittore demiurgo, capace di scandagliare l'animo e la realtà di chiunque, senza badare alle differenze sociali, di genere, di collocazione geografiche e temporali.
Il più grande potere della scrittura e di qualsiasi autore degno di questo nome.
In questo contesto drogato diventa evidente come i sensitivity reader siano necessari, per questo tipo di mercato del libro sordo e cieco, mercato del libro che è anche il nostro, eppure di questa nuova professionalità in Italia non esiste traccia.
Ma cosa fa un sensitivity reader?
« Il sensitivity reader setaccia il manoscritto alla ricerca di frasi e osservazioni offensive, stereotipi, bias, incomprensioni e rappresentazioni sbagliate che gli autori non appartenenti a una certa minoranza possono aver tralasciato. Per la stessa regola, un sensitivity reader deve appartenere alla comunità di cui si sta parlando.
Dando uno sguardo veloce online, puoi chiedere un “sensitivity-check” del tuo romanzo per qualcosa come 250 dollari: « Sono una persona disabile, sono ebreo e gay e soffro di disturbo da deficit di attenzione», scrive uno, su writingdiversely.com, un sito di consulenza di sensitivity reader, «sono musulmana, pachistana con una storia di immigrazione alle spalle e soffro di ansia sociale», dice un’altra.»
Prenderà piede anche in Italia il sensitivity reader?
È improbabile, gli italiani che leggono amano la diversità, il melodramma, l'esotismo e i best seller, e poi viste le paghe del settore, chi glielo fa fare a un musulmano di vendere la propria storia a un editore, per farla scrivere a un altro, soprattutto se il musulmano viene dal mare, non è, per ovvie ragioni, figlio di Maria e non vuole assolutamente integrarsi?
Per quanto il mercato italiano viva e vegeti con i plot e con una costruzione linguistica e tematica che ricalca, in toto, il linguaggio parlato, sempre più semplificato ed elementare, in pratica i libri si posizionano negli scaffali inseguendosi e aspirando a essere uguali. Oppure si seguono i social e la potenzialità di chi scrive di avere “seguaci”, per quanto la definizione “scrittore”, in questo caso, sia una casacca più che un dato oggettivo.
Poco conta che si perda in unicità e in originalità, che le voci siano indistinguibili e che i lettori scarseggino ancora di più, conta produrre libri buoni per tutte le stagioni, quelle che nemmeno esistono più.
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