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L'intervista

Claudio Castellini: dalle fantascientifiche avventure di Nathan Never alle tavole per raffinati collezionisti

Creatore grafico di Nathan Never (sue le copertine fino al numero 59) , è anche il primo fumettista italiano ad aver collaborato con Marvel Usa, disegnando i supereroi americani (Silver Surfer: Il Buio Oltre le Stelle, pubblicato da Marvel Comics nel 1996 per citare una delle sue produzioni oltreoceano).

Claudio Castellini romano classe 1966, è tra i fumettisti italiani più amati e stimati anche all'estero. Una passione innata quella per il disegno, il suo è un tratto realistico, "muscoloso", appariscente, attento ai dettagli tecnici ed ai particolari, influenzato da artisti come Neal Adams e John Buscema.

Da qualche anno ha abbandonato il fumetto seriale e si è dedicato, con grande successo, quasi unicamente allo sviluppo di tavole su commissione per collezionisti privati.
In questa intervista esclusiva, l'artista si racconta parlando dei suoi esordi nel mondo del fumetto, dei personaggi a cui si sente più legato e dei suoi progetti futuri.
Claudio, lei è uno dei disegnatori italiani più importanti, il suo nome è legato a molti personaggi. Ma in particolare vorrei parlare di Nathan Never: le manca mai Nathan?
Mi manca in quanto è il personaggio che ha segnato un periodo molto importante della mia carriera e della mia vita. Ero molto giovane in quegli anni, parliamo di 25 o 30 anni fa, è stato un personaggio molto importante; inoltre mi può mancare affettivamente perché lo considero il mio figlioletto grafico. L'aspetto, il look, così come è stato approvato dalla Sergio Bonelli Editore, ne sono stato il creatore grafico. Era nato dalle mie elucubrazioni mentali su come creare in quegli anni un personaggio differente legato al mondo della fantascienza.
Quando era un bambino leggeva i fumetti?
In realtà, come tutti i bambini, leggevo Topolino; poi sono passato nelle fasi dei manga. Come tutti quelli della mia generazione, vedevo i cartoni animati di Goldrake Jeeg Robot; poi un giorno vidi in un programma tv, ormai perduto nella memoria, si trattava di Supergulp, i cartoni animati dei Fantastici 4. Erano strani personaggi con dei superpoteri ed incominciai ad interessarmi al tema finché in un'edicola vidi i fumetti Marvel, iniziai a comprarli e lì fu amore a prima vista! Mi ricordo che era Silver Surfer, il ciclo disegnato dal grande John Buscema, decisi di seguire quella strada. Ero già un designatore, in quanto avevo il talento di saper disegnare, ma avrei potuto darmi alla pubblicità, all'illustrazione, invece in quel momento decisi di essere un artista del fumetto.
Lei è diventato disegnatore in un momento in cui non esistevano scuole che formavano professionalmente, ma aveva un talento non comune. Adesso molti giovani approdano al fumetto tramite internet, con i social, lei che consigli darebbe a chi vuole fare del fumetto una professione?
È un momento complicato, viviamo in un'epoca digitale, il che non è necessariamente un problema. Il digitale può essere un supporto, un aiuto e infatti lo considero tale. Non bisogna affidarsi al digitale oltre un certo limite. Adesso va molto di moda, ad esempio, la disputa sull'intelligenza artificiale. Ci si può avvalere di mezzi tecnici, ma non devono essere la base della nostra formazione, almeno per quanto è la mia opinione. La base di un artista dovrebbe comunque essere accademica, prendiamo ad esempio l’anatomia: è vero che oggi si può scaricare un modello in 3D direttamente da internet, ma non è la stessa cosa che essere padroni della materia; cioè passare attraverso uno studio oggettivo per poi farne un uso soggettivo. Cito un esempio storico della storia dell'arte: Michelangelo, che fu il primo a fare questo discorso e anzi in un certo senso lo considero il primo fumettista della storia, studiava l'anatomia attraverso la dissezione dei cadaveri che era l'unico modo dell'epoca per poter apprendere. Però l'uso che faceva di questa sua conoscenza era soggettivo Che vuol dire? Che aveva questa grande conoscenza della materia però la distorceva per dare una grande potenza muscolare. Questo è quello che dovrebbe fare un disegnatore dei fumetti nel campo dei supereroi, cioè avere una conoscenza anatomica oggettiva per poi distorcerla secondo il proprio punto di vista, secondo la la propria interpretazione da artista.
Ad un certo punto ha deciso di fare il grande salto e lasciare Nathan Never per lavorare con gli editori statunitensi, poi si è staccato anche da loro. Non ha mai avuto paura di allontanarsi da quella che in fondo era una situazione lavorativa comfort zone? Da anni lavora prevalentemente su commissione, una scelta che certamente le dà una grande libertà artistica, ma al contempo la tiene lontana dall'industria del fumetto. Non ha mai la tentazione di tornare alla serialità?
Negli anni '90 feci il gran passo di lasciare Nathan Never e di fatto fui il primo autore italiano a collaborare con la Marvel USA a distanza, aprendo le porte alle successive generazioni. Ma era la mia condizione "elettiva", nel senso che fin dall'inizio era nelle mie intenzioni, ho sempre considerato il lavoro alla Bonelli un passaggio di transizione. Pur non avendo nessuna garanzia che il futuro mi avrebbe riservato il risultato ambito, a quell'età confidavo già nelle mie possibilità, ero molto motivato. Più recentemente presi la decisione di allontanarmi, come hai detto, dall'industria editoriale per dedicarmi al mondo del collezionismo di opere su commissione.
Quello che dici, allontanarsi dalla "comfort zone" editoriale può sembrare certamente azzardato, ma in tutte le scelte che ho preso non sono stato mai timoroso.. senza un minimo di rischio e fiducia nelle proprie capacità non si arriva da nessuna parte, no? Penso che questo, uscendo solo un attimo dal contesto fumettistico, valga per tutti gli aspetti della vita. Per crescere come persone e passare al "livello successivo" bisogna avere un percorso di apprendimento dinamico; anche per comprendere la verità riguardo molte cose bisogna avere il coraggio di aprire la mente a nuovi aspetti che prima non vedevamo, anche se questo comporta prendere coscienza ed accettare realtà che possono privarci della comoda tranquillità del "non sapere" e che ci impongono un reset totale del chip mentale. Cambiare radicalmente la mia dimensione lavorativa è stata una scommessa, ma si è dimostrata vincente e ne sono pienamente soddisfatto. Inoltre nel mio caso la scelta è stata dettata, come ho più volte dichiarato, anche dalla coerenza con ciò in cui credo: il mondo che ho amato da ragazzo, il fumetto supereroistico, si stava sempre più contaminando, secondo il mio personale punto di vista, di contenuti violenti espliciti e gratuiti, e non volevo partecipare con la mia arte a diffondere e promuovere questo tipo di messaggio. Il lavoro su commissione mi dà in questo senso un maggiore controllo, perché sono libero di non accettare di rappresentare tematiche che non siano in linea con i miei principi. Tornando quindi alla tua domanda, non sento particolarmente la tentazione di tornare alla serialità, oltre che per le ragioni che ho qui spiegato, anche perché non amo lavorare con dei tempi di consegna al giorno d'oggi sempre più frenetici e serrati e per un'industria che predilige la quantità alla qualità. Come artista ho ancora molto da imparare e desidero avere tutto il tempo per farlo.
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