IL MATTINO
Il caso: il candidato del centrosinistra con un passato a destra
21.03.2019 - 21:06
Il babbo Nicola era amico personale di Giorgio Almirante, tra i fondatori del Movimento sociale italiano in Basilicata e poi anche primo sindaco d'Italia missino, eletto a Balvano, suo paese d'origine. Due i figli: Carlo ed Ercole. Ercole mostra subito di avere le idee ben chiare, legate al mondo in cui è cresciuto. Frequenta la sezione del paese, milita nel movimento giovanile, poi si iscrive all'Msi, poi ad Alleanza nazionale. Seguendo le orme del babbo fa il sindaco. Poi quel mondo si disgrega. Ma Ercole continua a mantenere le relazioni con i vecchi missini diventati finiani. Finché, come esperto, viene chiamato a guidare il Corecom, su indicazione di un uomo di sinistra: Vincenzo Folino. Poi si ricandida a Balvano ma viene sconfitto dal suo avversario, sindaco uscente, Costantino Di Carlo. Durante la campagna elettorale volano gli stracci. Ercole perde, ma con dignità fa il consigliere d'opposizione. Carlo, invece, è più schivo. Al partito si vede poco e niente. Segue a distanza. Ma segue. Partecipa ai comizi, anche a Potenza. Ed è tra i ragazzi del servizio d'ordine missino in una Piazza Prefettura gremita. Capellone e barba lunga, si piazza proprio sotto il palco. E lì viene immortalato. Passano oltre 30 anni. E il centrosinistra devastato al suo interno dalle beghe tra partiti e colonnelli e messo in ginocchio da un'inchiesta che ha vietato a Marcello Pittella, governatore uscente, di mettere piede a Potenza fino alla vigilia della campagna elettorale, lo chiama a guidare la coalizione. Lui accetta. Uno dei primi incontri lo organizza a Balvano, introdotto dall'ex avversario del fratello, col quale perfino si abbraccia. Ma qualche giorno dopo si lascia scappare durante un incontro di FederFarma che il suo unico politico di riferimento è stato Giorgio Almirante. Il caso fa rumore, finisce sulla stampa nazionale. E lui prova a correre ai ripari: è stato frainteso, il discorso non è stato capito, quella frase è stata usata dagli avversari. Il terzo indizio è la tessera (numero 195372). Anno 1978. Arriva dritta dalla fondazione di An, che ha ereditato tutti gli archivi della vecchia Fiamma tricolore. Sulla tessera, vera, plastificata (si usava già così in quegli anni) c'è la firma di Giorgio Almirante e il nome: Carlo Trerotola. Lui, come dopo la gaffe su Almirante, ha replicato «con fermezza e in piena sincerità», dicendo di non aver «mai richiesto nessuna tessera a nessun partito». Il candidato del centrosinistra in Basilicata ha aggiunto che, «se fosse vera la foto che circola sul web», potrebbe trattarsi dell'opera di qualche segretario un po' furbetto che, come avviene a volte sia a destra che a sinistra, faceva tessere di partito a persone inconsapevoli". Nel sottolineare che, "se la tessera fosse mia, dovrei averla io», Trerotola ha aggiunto che «se questa tessera esiste vi pregherei di restituirmela perché è un reperto storico, anche di qualche valore. E, al vostro posto - ha concluso - mi preoccuperei di più dei voltagabbana che dal centrosinistra sono candidati nelle vostre file fasciste». Nel commento alla foto, Il Cavaliere nero - pseudonimo del direttore del quotidiano il Secolo d'Italia Francesco Storace - è scritto che Trerotola «ha mentito e tanto. Domenica prossima si vota - ha aggiunto più avanti - e gli elettori di sinistra dovranno votare non solo per un fan almirantiano ma soprattutto per un mentitore». Il commento, infine, critica duramente l'ex governatore lucano Pittella, che «ha rifilato un trasformista alla compagnia che domenica prossima dovrà finalmente traslocare dagli uffici della Regione Basilicata». «Il candidato del centrosinistra non c’era, e se c’era dormiva», si legge sul Secolo. «Eppure dovrebbe ricordare bene questa tessera: era plastificata, l’avevamo in molti in quegli anni. E la sventolavamo con orgoglio», ricorda Storace. «Chissà in quale cassetto della farmacia l’ha dimenticata… È goffo il tentativo di negare quell’iscrizione, peraltro risalente al lontano 1978. Ma nel suo caracollante italiano, arriva a dire che lui non ha niente a che fa' con quelli che chiama filofascisti e altra roba del genere». E accanto al titolo pubblica «un altro reperto, come li chiama lui», scrive sul Secolo: «È una piazza strapiena, un comizio di Giorgio Almirante». Carlo Trerotola è in prima fila, con il servizio d’ordine al comizio del segretario del Msi. La foto è tagliata, il leader non si vede, per non rovinare le ultime ore di campagna elettorale del compagno che sbaglia partito. «La prossima puntata lo vedrà accusare i suoi familiari di averlo iscritto a sua insaputa». Il servizio si chiude così. Nel frattempo le agenzie di stampa battono la notizia: «Il candidato del centrosinistra aveva la tessera dell'Msi». I siti web dei quotidiani nazionali rilanciano. Il tema entra nel dibattito politico. E Giotgia Meloni, in serata a Potenza, commenta: «Trerotola ha detto che ascoltava i discorsi di Almirante? Evidentemente non li ha capiti, perché chi ascolta Almirante non può stare con Pittella». «Votare Trerotola - ha aggiunto Meloni - vuol dire votare Pittella: questo, la gente, che non è cretina, l'ha invece capito benissimo». E per tornare all'iscrizione missina, anche quella la gente l'ha capita benissimo: c'è la gaffe, c'è la foto al comizio e c'è la tessera. Diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova».
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