IL MATTINO
I pensieri dell'altrove
21.04.2019 - 00:54
Opera di Ersilia Leonini (piziarte.net)
Nella liturgia ecclesiastica dei giorni precedenti alla Pasqua c'è molto poco di gioioso o di festoso. Prima della celebrazione cristiana della Resurrezione c'è tutto un percorso cupo di dolore, di sofferenza,di sangue. Nella storia della vita di Gesù troviamo elementi umani molto comuni alla nostra, leggiamo il tradimento per il danaro, il sibilo della tentazione, la dimensione della solitudine, il personale travaglio col Padre, la paura e la ferita dell'abbandono, l'angoscia, la fine, la perdita, infine il lutto e lo strazio per antonomasia, cioè quelli che subiscono le madri per la morte di un figlio. A me non piace l'iconografia della Croce, ma non per essere blasfema, piuttosto perché il mio totale disgusto per tutto ciò che ha a che fare con la violenza e con gli atteggiamenti cruenti mi portano ad un sentimento di impotente disperazione e smarrimento, tuttavia il simbolo della Croce, inteso come le sopportazioni quotidiane a cui ogni essere umano prima o poi accede, rende efficacemente l'immagine della sopraffazione e della subordinazione delle nostre vulnerabilità dinanzi alla vita. 'Inchiodati', quindi resi incapaci, nel dolore, di qualunque reazione, inoffensivi, immobilizzati ed inermi. 'Porto la mia croce', quindi avere le spalle impegnate ad uno sforzo dolente che però vigliaccamente non ti guarda in faccia, che ti fa inciampare, che ti fa piegare, che fonda la sua radice proprio nella natura biologica dell'uomo: dover capire, pensare, lottare, cadere. Ogni volta, dinanzi a situazioni dolorose siamo chiamati a valutare il nostro rendimento reattivo, a fare rifornimenti di energie, a trovare risorse, e questo perché gli uomini hanno comunque una formidabile tenuta espansiva; e così come la pioggia è capace di far 'risorgere' fiori assetati, noi ci infiliamo in un raggio rosso al tramonto o ci stendiamo in un mezzo giro di arcobaleno e ci attrezziamo di quella spinta necessaria per continuare a respirare. Io non so esattamente cosa sia la speranza e come si concretizzi o si manifesti, per quanto la speranza sia l'augurio più versatile e più usato per ogni circostanza (spero tu stia bene, spero tu mi ami, spero tu guarisca, spero tu ci sia); penso invece sia più diffuso il sentimento della disperazione, che però può far emergere squarci di sensibilità potenti e aiuta ad affinare la conoscenza di sé, può mitigare le supponenze ed allargare le comprensioni. So anche che i giorni di festa non vedono il sole sorgere da un'altra parte che non sia il solito est, che le gioie per alcuni si intensificano e le tristezze per altri si induriscono, che le mancanze mancano di più e le sorprese nelle uova di cioccolato quasi sempre ci fanno abbastanza schifo. In fondo, siamo solo noi e le nostre rivoluzioni interiori a dare le scansioni e i diversi stati emozionali a tutti questi nostri giorni e sono i nostri dubbi certi, i nostri personali lutti e le nostre intime feste a renderci così magnificamente imperfetti e umani. Con i tempi caoticamente corti della vita e la sacralità eterna della morte.
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