IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
31.03.2019 - 12:17
Opera di Ersilia Leonini (piziarte.net)
Quando arriva l’estraniamento arriva anche quella forma di vaga anestesia che riduce la soglia della coscienza, forse elimina le attese, magari imbroglia la solitudine, straccia sgarbatamente le illusioni inutili.
C’è il traffico umano di un giorno qualunque. Incontri, appuntamenti, passeggeri in transito senza soluzione di continuità su uno dei corsi più noti e frequentati della grande metropoli del nord. Qui, ogni volta, sento la modernità, l’efficienza e la dinamicità dell’economia produttiva. Le vetrine sono luminose, ricche, sembra che la merce non sia lì in una fredda esposizione, ma interagisca attivamente con la densità degli sguardi interessati. Perché le soste davanti ad un pantalone o ad una borsa sono tante, tantissime, e questo movimento dà l’idea di una continuità di interesse, mica come davanti ad una vetrina sfortunata che soffre l’isolamento da parte di acquirenti o di semplici curiosi. La vivacità di un luogo commerciale diventa un punto importante di distribuzione e di scambi fra la merce ed il danaro, di soddisfazione dei commercianti e di piacere nel portare a casa l’oggetto desiderato. È lì, di fronte ad una delle vetrine più glamour, che si trova la postazione a terra di una donna dai capelli neri. Ogni volta che torno la ritrovo nello stesso angolo scuro; i suoi stracci, su cui è seduta ma spesso distesa, sono neri come i suoi capelli, i suoi abiti non conoscono stagioni, la sua faccia ha sempre la stessa incapacità di espressione. Ce ne sono altri, di senza casa come lei, affilati lungo il corso sotto la Madonnina, sono tutti maschi e di età variabili. I più giovani hanno spesso uno, due cani che stanno fermi per ore, accucciati, schiacciati dal mondo, proprio come quella presunta vita dei loro compagni umani. Si lasciano accarezzare da mani ruvide, con i segni sulle dita di un inverno appena passato ma che forse per loro non passerà mai e mostrano nello sguardo lo stesso infinito vuoto di chi li accarezza. Sono così silenziosi e mansueti da sembrare quasi finti, ma è molto più probabile che siano solo tristi. Questi mucchi di stracci umani segnano tutto il perimetro di una zona piena di ristoranti ed attività redditizie, ma vivono in una costante dimensione di disattenzione, di disinteresse, è come se ci fossero ma senza avere il diritto ad una coerente visibilità. Li vedi accasciati in una bolla di desolazione che stride con il fervore circostante, come se fosse stata tracciata una linea spietata di demarcazione fra la “normalità” che passa frettolosa e il nulla che trasforma il tempo in una scelta immobile e priva di indicazioni. Sono sempre più numerosi, ma credo che ognuno si sia assegnato per esclusione il suo angolo, la sua casa, la sua fetta di vita senza voce. La donna con i capelli lunghi e neri fuma molto, ad ogni mio passaggio la ritrovo nella sua aria nebbiosa. Lei non chiede, non piange, non dorme, lei fuma. Quando nella cassettina le porgi del danaro non alza neppure gli occhi, credo sia così stanca, così avvolta da un senso di afflizione che le costi fatica qualunque azione non sia aspirare la sua nicotina. Stamattina, dopo un mese e mezzo, l’ho rivista nel suo solito angolo. Ma stavolta era diversa. I capelli erano più lunghi e ingrigiti, il viso era gonfio e scuro, le mani erano sporche. La sigaretta pendeva dall’angolo destro della bocca, ma quello che a me è sembrato il peggio era che parlasse da sola. Muoveva la testa e accompagnava le parole. Senza sguardo, senza enfasi, senza gesti. Solo un sillabare scomposto e immaginario, un colloquio con il fumo amico ed i capelli lunghi, una storia senza narrazione apparente, ma che faceva un po’ di compagnia a quel senso fitto di non appartenenza. Quando arriva l’estraniamento arriva anche quella forma di vaga anestesia che riduce la soglia della coscienza, forse elimina le attese, magari imbroglia la solitudine, straccia sgarbatamente le illusioni inutili. Le parole come un regalo ed un aiuto, un movimento leggero del petto che dà giustificazione al suono acuto dell’anima. Perché oltre il dolore, a quel punto, la sola consolazione che resta è in quelle strane parole segrete, senza bugie e senza prudenza, che riusciamo a pronunciare a noi stessi.
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