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I pensieri dell'altrove

Tu che casa sei?

Le persone che assomigliano alle case sono così, tengono strette fra le dita le tue parole nascoste, non le tradiscono, non le cambiano, non le giudicano. Soprattutto non le dimenticano.

Tu che casa sei?

Ci sono persone che sono come le case. Mi è capitato di incontrarne qualcuna e, da subito, mi è rimbalzata addosso la speciale sensazione che mi stessero aprendo una porta e che potevo entrare. Ho sentito il senso dell’accoglienza, di una morbidezza circolare, di un principio di fiducia. Sono persone che hanno una postura lontana da una certa rigidità muscolare che immediatamente fa supporre la diffidenza, hanno gesti misurati, la voce è ferma, gli occhi sono tranquilli, non invasi da un’inquietudine che impedisce allo sguardo di posarsi su un unico piano, sono occhi senza distrazioni o ansietà. Nelle case, nei giorni di vento molesto che rovista sgarbatamente dentro e fuori di noi, troviamo i muri familiari che ridimensioniamo i danni, cerchiamo tregue in quegli angoli che diventano le nostre tane, ci sforziamo di mettere l’anima al sicuro. Le case hanno cura delle nostre malattie, conoscono i nostri segreti e le nostre parole, le fantasie, le maledizioni. Non provano rancore se, per quelle estemporanee e volatili essenze di felicità, non concediamo al luogo alcuna manifestazione visibile. Le case lo sanno che preferiamo far finta di nulla, un po’ perché fin quando la felicità non si allontana non capiamo bene da quale generosa divinità siamo stati finalmente premiati, un altro po' perché di quei momenti di benedizione (rara) è bene sentire tutta la sensazione senza diluirla, senza distrarla neppure da un respiro fuori tempo, nemmeno da un pensiero fuori linea. Le persone che assomigliano alle case sono così, tengono strette fra le dita le tue parole nascoste, non le tradiscono, non le cambiano, non le giudicano. Soprattutto non le dimenticano. Non devi far fatica a dover rispiegare le cose perché sono ancora tutte lì, intere e salve. Non devi fare tentativi frustranti per farti ricordare, non devi ripetere il tuo nome. Semplicemente già ci sei. Le persone che ti aspettano come le case sono luoghi emotivi certi, sono presenze come terapie, sono la compagnia misericordiosa che cicatrizza i giorni delle ferite. I conflitti, i dispiaceri, le turbolenze dolorose restano, arrivano comunque e sappiamo di non uscirne incolumi. Ma avere una mano calda che ti accompagna nelle stanze del tuo viaggio fa avvertire l’infelicità come un evento spaventoso ma forse, col tempo, percorribile, come un dolore intenso che non deve trascendere necessariamente nella tragedia, come una mancanza che si convince di poter diventare consapevole e matura solitudine. Non so se siano le opportunità a venire da noi o se siamo noi a trovarci nella scoperta delle opportunità, so che le porte delle case bisogna correre il rischio di aprirle. Dietro possiamo trovare ancora quel brutto sogno che ci avvita l’esistenza, il nodo di un antico turbamento che strozza la gola, una scoperta scandalosa, un nuovo smarrimento. Ma per capire ci tocca sperimentare, capire il meccanismo, sollecitare il coraggio. Perché può capitare che si incontri, in un momento stretto, la possibilità di sentire addosso una modesta ma densa porzione di fortuna che ci può salvare.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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